Per Aurora – volume quarto – Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – Poesie dei sogni

Poesie dei sogni

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Non rubate la mia vita

Di Capri un po’

Quipo

Non rubate la mia vita

Un sorriso di mare smeraldo
un profumo di ortensia maculata
lo scampanare di turisti pascolanti
lo sciacquio di graniti biancastri,

TEMPO,

la sposa non mi chiede altro
i miei ingorghi pazienteranno ancora
tra un’onda senza fine al tramonto
nel poggio di agrumi e di ninfee.

Non rubate la mia vita,
prendete i sogni.

 

Di Capri un po’

Enorme scoglio brullo,
come le scorze ruvide
di angurie tropicali
a chiazze agrumate
sbuffate in macchie di ghepardi:
di Capri un po’.

Zaino seta fardello,
dagli aculei stemmi americani
tesi tra bordi sfilacciati
fruscianti
un’unghia sotto le nuche rasate:
di Capri un po’.

Telo d’intrecci esotici,
per gli occhi degli sciami giapponesi
ombreggiati dal sol levante
filato
sulle falde dei berretti:
di Capri un po’.

Progenie umana dell’isola di tutti,
contemplo
insieme alla sposa di sempre
il dolce silenzio dei nostri sogni.

 

Quipo

Un quipo peruviano
intrecciato
-sfilacci di ginestre
precolombiane lane
papiri, betulle e cordicelle marinaresche -,
dai nodi scuriti,
adagiato
sul banco di cristallo.
Due pietre turchine come il mare di Capri
due passi prima della Certosa
due passi dopo il lusso della nostra fuga.
Il sorriso dell’uomo padrone
esalta
l’anello che oggi ci sposa,
ancora.
Guardiamo affascinati
mimi imbiancati immobili all’angolo del bar,
udiamo incantati
dal loro talamo di legni attintati
sgorgare il suono girovago di un
violino tzigano.
Voliamo
da soli voliamo
come il vento tenero dei passeri
la mano nella mano
voliamo
insieme voliamo
fin giù nei giorni conosciuti
negli anni innamorati
voliamo
coribanti voliamo
fin su nel tempo che ci appartiene

in assolato controluce
voliamo
mentre
l’ovulo di antiche zolle
pigia profondo nel mio petto,
alla radice,
e soffia sui semi sommersi
dei tuoi intimoriti ritorni,
profondo.

Voglia,
sotto un manto di stelle di Tragara
con il dolce tepore di una tarda primavera
nel profumo lontano della magnolia in
fiore
tra il silenzio delle lucertole striscianti sui
sassi,
voglia
il prossimo sonno
renderci liberi dai sogni!

FINE

 

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https://dila.altervista.org/

“Per Aurora volume quarto”.

seconda edizione.

Agosto 2022

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Per Aurora – volume quarto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quarto di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

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Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
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Per Aurora – volume quarto – Capitolo quarto

Per Aurora – volume quarto – Capitolo quarto

Capitolo quarto

PARTE TERZA

I sogni

Capitolo quarto

Bruno: -«Ora che sapete tutto non mi sembra essenziale continuare a tediarci con queste malinconiche divagazioni.
Con tanti interessi che non riusciamo a soddisfare, gingilliamo la puerile infermità d’intrattenerci raccontando simili personalistici abbandoni nostalgici.
È proprio vero che si ritorna bambini quando il tempo rende maturi grappoli di esperienze estreme.
Infantili, ingenui.
Ad otto anni “c’era una volta la fata turchina”, a trenta il “lupo cattivo”, e, dietro l’angolo, alla mia età “il mitico Maradona” assurge a fulcro, non solo dell’assurdo racconto di un folle amore, ma di un turpe inganno e di un giusto suicidio.
Nei miei precedenti interventi la comunicazione si è protratta con approcci apparentemente non omogenei, disuniti, privi di filo conduttore, disarticolati, finanche arroganti nella sfacciata indifferenza verso la tua disponibilità.
Quindi, intendo fare ammenda spostando su un diverso obiettivo il bersaglio offerto dalle mie sciocchitudinanti notturne ricerche di
“Le belle storie d’amore”.
Io non sono la pioggia che bagna i teneri germogli delle melanzane e dei pomodori, né il microfono utilizzato nel mitico assalto all’Indipendiente o lo speaker della notte scura di Sonny Liston, non sono il regista dell’indimenticabile Ungaretti e neppure l’autore di papaveri e papere.
Io non sono il vostro padre pio con le sofferenze non curate.
Tutto altro.
Carnefice.
Giacobino, gesuita, stalinista, mi sono interessato unicamente del mio presente futuro.
Un nuovo ricamo per
“Le belle storie d’amore”
e giunto al termine, ma ormai non potrai evitare a te stessa di bere il calice… »
Aurora: -«Avvelenato?»
Bruno: -«Mai. Sempre un confronto leale.
Il calice del giudizio finale.
Il mio piacere è servire le idee e le frasi che voglio, il tuo diritto è scegliere un altro autore.
Ma questa è l’apparenza?
Forse la realtà è nascosta da una lacca lucida e non trasparente che mi sono imposto di spalmare su questa futile storia di quotidianità provinciale per, per cosa sennonché per l’unico, irriducibile quanto malsano, tanto prorompente quanto disconosciuto, desiderio di…»
Aurora: -«È più comune -consueto- che si alzino gli cchi al cielo per seguire il tragitto di un elicottero, in special modo se ci si ritrova in una notte di luna su una spiaggia del mar Tirreno, piuttosto che ammirate il cielo stellato durante la grigliata notturna di ferragosto per confrontare la parità della nostra minima esistenza con l’immensa indeterminatezza di tutto quanto ci circonda, ci permea, ci ingloba.
Se oggi, nella piazza grande del paese marinaresco trasformata in arena -riflettori e suoni a centomila, giovani accalcati, vocianti, frementi, impazienti-, per tutta la sera di quest’ultimo giorno d’agosto -i temporali pronti a scatenare putiferi di lampi e tuoni-, un mitico gruppo rock si esibisse dal vivo (unica tappa in Europa, biglietti introvabili, bagarini arricchiti, rampolli di uomini importanti accanto ai figli dei fiori)-, e se d’improvviso crollasse il palco -mille metri quadrati, struttura avveniristica montata e smontata in due amen, orgoglio e vanto del principale produttore mondiale di scenografie stupefacenti-, e se anche, se come, se tutto ciò che vuoi… se un uomo sconosciuto continuasse a suonare in un angolo appartato, con il trombone di Vic Dickenson il brano Cryn’ out my heart for you (di Hopkins), tu credi che qualcuno vorrebbe sapere chi sia o chi non sia il solitario sconosciuto e tenterebbe di abbracciarlo?
È più comune -consueto- attendere il miracolo, che non riconoscerlo nell’istante di un suo avvento non programmato.
L’amore del popolo napoletano verso Diego Armando Maradona è stato lo sguardo al cielo stellato, ed allo stesso tempo, il personale esclusivo abbraccio al solitario sconosciuto suonatore di tromba.
Diego Armando Maradona, in piena autonomia, aveva eletto il Suo Popolo Napoletano alla dimensione di un Mito.
Il Suo Mito.
Un mito d’amore.
È vero.
Nella storia dei grandi avvenimenti pubblici e sociali, quasi mai ci si è trovati di fronte ad un reciproco amore tra l’autorevole emblema e la spontanea sudditanza.
O l’una o l’altra.
È anche vero che la mia promessa di indulgenza attiene ai protagonisti di
“Le belle storie d’amore”,
ma questa volta mi hai sorpresa ed imbarazzata.
Non posso negare di essere stata coinvolta dallo svolgimento dei fatti narrati, ma ugualmente non posso ammettere di essere in grado d’identificare gli autori delle azioni maggiormente significative.»
Bruno: -«Perché vuoi essere selettiva, se il cielo è stellato, le stelle formano il cielo.
Il popolo di Napoli è la fonte dell’amore.
La gente di Napoli si è chiesta di essere il popolo di Diego.»
Aurora: -«I contrabbandieri di Santa Lucia, i femminielli dei Gradoni di Chiaia, i mariuoli dei Cagnazi, gli avvocati dei Quattro Palazzi, i politici di Piazza Municipio, i cozzicari di Mergellina, i pescivendoli, i medici, gli ambulanti, bambini e mamme ciascuno per proprio conto?»
Bruno: -«Esatto loro, i contrabbandieri di Santa Lucia, i femminielli dei Gradoni di Chiaia, i mariuoli dei Cagnazi, gli avvocati dei Quattro Palazzi, i politici di Piazza Municipio, i cozzicari di Mergellina, i pescivendoli, i medici, gli ambulanti, bambini e mamme ciascuno per proprio conto»
Aurora: -«Sei folle: Folle ed impudente.
Ti ho elevato a paladino dei protagonisti di
“Le belle storie d’amore”,
e dopo alcune scelte ben riuscite, per esempio la coppia di “L’Appuntamento”, ecco che ti presenti, sfacciato, folle, e proponi di elevare addirittura un intero popolo al rango ed ai benefici di “Eletto Per Amore”.
Ed hai creduto…
Uomini donne e finanche bambini d’equivoci comportamenti…»
Bruno: -«Si può essere la peggiore canaglia, un pessimo esempio di sfacciata arroganza, il postino delle nostre calamità, il massimo intruglio di malefici e malvagità, la carogna delle carogne, un distillato delinquenziale oppure il nettare avvelenato, la iattura personificata, la madre di Cogn, la figlia di …, Bash, il figlio di Giuda, il fratello di Abele, un vecchio inquisitore, Gambadilegno, Diabolik, l’anello forte della forca, la lama della ghigliottina, la polvere radioattiva, il pattume industriale, chi ruba la mia vita, ma, se hai amato una volta nella vita, Amato con la A maiuscola -e Diego è stato da loro Amato, Amato con la A maiuscola-, allora la redenzione non solo è possibile, quanto, ne converrai, addirittura certamente auspicabile.»
Aurora: -«Solo quando avrò smesso di seguire le tue follie, mi lascerò andare ad un’analisi approfondita dei miei comportamenti snaturati.
Solo quando avrò smesso di accettare la speranza come forza motrice di giustizia ed umanità -la tua scelta-, potrò comprendere se sia più saggio guardare il cielo stellato nell’impotenza di una notte d’agosto, oppure seguire il volo di un elicottero per essere attenta a prestare un eventuale soccorso.
Solo quando avrò smesso di accettare la tua categorica supremazia dell’amore, saprò infine decidere se voler essere completamente umana.
Il Popolo ha vinto.
Il Popolo è.
Il Popolo Napoletano è nominato
“POPOLO D’AMORE”.
Diego Armando Maradona ha vinto.
Diego Armando Maradona è.
Diego Armando Maradona è nominato
“PIBE D’AMORE”.
E tu, Petrus, fai brillare il cielo con i fuochi pirotecnici dell’antica Piedigrotta, riempi le strade e le piazze di pazzarielli, scugnizzi, carnacottari e tutti i genuini figli della tradizione popolare partenopea.
Voglio sentire fremere le passioni, accecate dai raggi del sole napoletano, salmastre come il mare a Posillipo, profumate come le ginestre dei Camaldoli (ginestra fiore amato dalla sua donna), dolci come l’uva del Vesuvio e vellutate come le ali dei gabbiani in volo radente sugli scogli di Mergellina.
Poi chiedi che l’uomo dal fiore all’occhiello suoni la nostra musica napoletana, ‘O sole mio, Maria Marì, Indifferentemente, per convincere Il nostro amico Bruno, da noi oggi eletto
“POETA DELLA VITA”
a non lasciarci prima di aver regalato alla nostra notte di follia la recitazione delle sue ultime tre
“POESIE DEI SOGNI”.
Brindate tutti a questo evento!
… E tu… bevi una birra gigantesca. »

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PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

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Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
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“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume quarto – Capitolo terzo

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Capitolo terzo

PARTE TERZA

I sogni

CAPITOLO TERZO

Aurora: -«Chiamate Petrus. Introduca il secondo sogno. Presto.»
Petrus: -« Sono qua.
Sono qua.
Devo ripetere. Questa che ascolterete è la fedele ricostruzione del secondo sogno.
Era la notte tra il sabato 14 Agosto la Domenica 15 Agosto.
Dalle ore 3.33 alle ore 3.42.
Sogno quindi successivo alla famosa telefonata.
Nessuno ne era ancora informato, ma Ignazio si era ormai già suicidato.
Tom descriverà la scena.
Edith raffigurerà la nonna Cristina.
Edoardo ripeterà le frasi dette dal nostro amico.
Ho operato al meglio per non omettere alcun particolare.
Una precisazione: se credete opportuno vi mostrerò l’autorizzazione alla divulgazione che Cristina si è premurata di inviarmi con un affettuoso messaggio per e-mail. Esso dice: “La tua insostituibile perspicacia… »
Aurora: -«Petrus, non ora, sii gentile.
Dai inizio al secondo sogno.»
Petrus: -«Va bene, va bene, subito… però anch’io sono anima, e se Cristina mi considera “Il paladino dei nostri…»
Aurora: -«Smettila.»
Petrus: -«Ho fatto un buon lavoro!
Posso avere sul tavolo una Falanghina giovane-giovane? La Falangina è un vino, cosa avevate pensato, porcelli? Grazie. »

Il secondo sogno

Tom: -«Nello stesso luogo del primo sogno, questa volta mostrando il viso dagli occhi spaziosi e leggermente arcuati verso il basso, lo sguardo dolce, le mani curate ed ingentilite da dita affusolate con unghie laccate di rosso vivace, avvolta sulle braccia da uno scialle di seta nera che era stato da lei stessa ricamato all’uncinetto, Cristina si stringeva le dita congiunte all’altezza delle ginocchia.
Immerse il suo sguardo negli occhi del nipote come se egli fosse stato il signore dei suoi pensieri, sciolse, dal nodo di dolore, una mano dall’altra, accarezzandogli le guance come ad un bimbo che dorma… »
Edith: -«Piccirì, la telefonata che ti abbiamo indotto a fare, ora ha già conseguito gli effetti da noi auspicati (la fine della vita terrena del lurido individuo).
Posso annunziarti la morte di Ignazio.
Suicida.
Edoardo: -«Ignazio?
Suicida?
Che c’entra mio fratello Ignazio?»
Edith: -«Ignazio, l’autore del furto, non era tuo fratello, non lo era mai stato, né da parte di padre, né tanto meno da parte di tua madre.
Parlo con il loro consenso.
Tua madre tramite me ha inteso regalarti questo squarcio di verità.»
Edoardo: -«Non è… ed io… Nonna che dici!»
Edith: -«Lo so, tu gli avevi creduto in buona fede.»
Bruno: -«Ma se anche Aurora… »
Edith: -«Tu, e non da solo, gli avevi creduto, in buona fede.
Non ha ingannato solo te.
Indurre in errore Aurora, la Signora, è stato il suo capolavoro.
Non era mai accaduto che un mortale riuscisse ad ingannare “La Signora”.
Non solo a mia memoria.
Anche Petrus è stato di questa opinione.»
Edoardo: -«Cosa posso fare?
Sono distrutto.
Non ho perso un fratello indegno, ma ho trovato un inganno devastante per la morale della mia vita.»
Edith: -«Non devi considerarlo un disonore.
È stata solo leggerezza.
Ti sarebbe bastato ricordare l’affetto di tua madre per te, per essere certo che lei non avrebbe vissuto un solo attimo sapendoti lontano.
Un figlio vale l’altro.
Per una mamma.
Come avrebbe potuto privarsi di un tuo fratello?»
Edoardo: -«Perdono, perdonami…”
Edith: -«Non piangere, sciocco, già fatto.
Da sempre.
Le mamme non “hanno” figli, le mamme “SONO” i loro figli.
E smettila di affliggerti, siamo vivi, come canta per me Vasco ogni volta che gli racconto la tua infanzia.
Ignazio non era tuo fratello, tanto meno gemello.
L’uomo che l’aveva adottato era un gerarca nazista la cui sterilità, dovuta ad una ferita sul campo di battaglia, non costituiva un segreto per i ranghi alti della sua struttura militare.
La moglie, smaniosa ed esuberante, pur rassegnata ad una vita monacale, gli chiedeva con insistenza un figlio e Lui
“Un figlio? Come si fa?
Tu conosci bene la mia limitazione.”
Lei “Io lo faccio di nascosto con un altro uomo”.
Lui “Peggio, tutti al Comando sanno della mia impotenza.” Lei “Lo faccio di nascosto e poi…”
Lui “Che diavoleria hai architettato?”
E lei: -“… e poi fingiamo di adottarlo.
Ci sarà un soldato senza pretese che accetterà di rendermi madre?
Un medico corrotto che assegnerà il frutto della mia maternità ad un’altra donna?
Una spregiudicata poveretta che per una cifra concordata rimarrà segregata in casa durante tutto il tempo della mia gestazione?
Ci saranno.
La donna prezzolata fingerà, infine, di lasciarmi adottare il figlio che non avrà mai generato, ma che io avrò partorito. Ci saranno!”
Tutto filò liscio fino a pochi giorni prima del momento della finta adozione.
La donna poveretta assoldata per l’inganno, morì improvvisamente.
Il gerarca ormai non poteva rinunziare al suo piano, oltre a tutto per non compromettere l’onore suo e della moglie con uno scandalo.
Disperato, con prepotenza e minacce, impose a tuo padre, avendo saputo che tua madre era pronta a partorire, di fingere la nascita di due gemelli, uno dei quali, il figlio della moglie e del soldato, sarebbe stato immediatamente adottato da loro.
Così sono andate le cose.
Il figlio naturale della moglie e del soldato compiacente, battezzato Ignazio, fu ufficialmente dichiarato figlio di tua madre (quindi tuo fratello gemello), per essere, dopo un breve periodo, adottato da loro.
Tuo padre non poté ribellarsi e non era in grado di opporre rifiuto.
In quel disgraziato periodo noi combattevamo le nostre guerre in opposizione alla fame ed alle bombe, ma non avevamo i mezzi per batterci contro le sopraffazioni delle deportazioni che criminali fascisti e nazisti usavano deliberare verso chiunque non seguisse le loro disposizioni.
Così sono andate le cose.
Così tu, per la gente, sei nato con un gemello che non esiste.
Il bimbo della tedesca è diventato tuo fratello per inganno, corruzione e necessità di sopravvivenza.
Tua madre, una santa, sempre pronta a sacrificarsi per tutti, accettò di far credere che acconsentiva all’adozione di un suo figlio per impedire che tuo padre fosse deportato. Necessità di sopravvivenza.
Privarsi di un suo figlio!
L’avrebbero dovuto prima torturate, poi squartare, infine uccidere a martellate sulla testa e nell’utero.
Avresti potuto comprenderlo, ma non importa.
Così sono andate le cose.»
Edoardo: -«Nonna, aiutami, dammi una speranza.»
Edith: -«Piccirì, non trasformare una giustizia in un’emozione.
Non fare il Poeta.
Tu, sei la tua speranza, tu ed i tuoi affetti, tu e la tua dignità.
Accontentati, non è poco!
Se proprio lo desideri, la tua purificazione avverrà andando a Capri in compagnia di Gilda.
Lì in tre giorni, per
“LA POESIA DELLA VITA”,
in un particolare ed irripetibile abbandono fra bellezze e sentimenti scriverai
“TRE POESIE DEI SOGNI”.
Dimenticando Ignazio.
Egli non è mai valso un attimo della tua esistenza.
Ah! Senti, prima che te ne vai, mi aggiusteresti il lume sul comodino?
A volte non funziona, si accende e si spegne da solo.
Si accende e dopo poco si spegne e si accende da solo.
Tuo nonno non sta mai fermo.
Si gira e si volta nel letto, continuamente.
Muoviti oggi muoviti domani, l’ha rotto.
Ma se non hai tempo non fa niente.»

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Terzo giorno

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“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
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PARTE TERZA

I sogni

CAPITOLO SECONDO

Aurora: -«Furono confermati i presagi?»
Bruno: -«Sì.»
Petrus: -«Confermo… »
Aurora: -«Che confermi tu… non occorre il tuo “confermo”.
Non ora.»
Petrus: -«Chiedo scusa, non volevo offendere.
Forse è preferibile che mi allontani qualche minuto.
Se mi volete sono al bar.»
Aurora: -«Tutti o in parte?»
Bruno: -«Tutti.»
Aurora: -«Intendi dire che incontrasti un giovanotto con i pantaloni rossi ecc. poi una bimba dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro ecc. poi ancora sotto il tappo della birra ecc. ed infine il 33 vincente alla roulette?»
Bruno: -«Così fu.»
Aurora: -«Certo, per l’autorevolezza della immacolata Cristina, l’eccezionalità della tensione fisica e morale a cui eri sottoposto in quel periodo, la rispondenza dei presagi con i fatti, non potevi agire diversamente.
La telefonata andava effettuata. In quei termini ed in quel modo.»
Bruno: -«Posso solo precisare che nonna Cristina non si era decisa ad agire né per favorire se stessa, né per gratificare me, suo amato nipote, bensì in difesa della integrità morale dell’intera collettività raggirata ed offesa dalle spudorate falsità con le quali lui, Ignazio di Frigeria e d’Alessandro, negli anni l‘aveva abbindolata.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro, allo scopo di carpire qualche beneficio dalle finte amicizie artatamente create, non si era fermato davanti a nessun limite morale ed all’autorità di nessuna entità.
Neppure una donna angelica di none e di fatto come Cristina era riuscita a contenere la rabbia provocata dalla notizia della nuova sacrilega azione commessa dall’immorale individuo.
Aurora: -«Sospettando ci fossero elementi sfocati nello schema globale della tua storia, avevo affermato che le assunzioni di responsabilità quasi mai corrispondono a calcoli ignobili o disdicevoli, ecco la prova.
Però.
C’è ancora un però.
Gli affetti perduti per sempre (Ignazio di Frigeria e d’Alessandro, nel bene e nel male, era pur sempre tuo fratello gemello) quasi mai si lasciano obnubilare oscurati da altrui ideali.
Altri però.
Perché non hai partecipato alle onoranze funebri?
Perché non sei rimasto sconvolto alla notizia del suo suicidio?
Perché non hai avuto alcuna reazione di sorpresa?
Perché dimostri nei suoi confronti sentimenti tutt’altro che affettuosi, e ciò ben oltre la legittima delusione per un gesto che del resto già sapevi appartenere alla normalità della sua vita sciagurata?
Molti però.
Cosa intendi con “in difesa della integrità morale dell’intera collettività”?
E con “non si era fermato davanti a nessun limite morale ed all’autorità di nessuna entità”?
Moltissimi però.
Tutti sapevamo che Ignazio di Frigeria e D’Alessandro, tuo gemello naturale, era un poco di buono, sotto tutti i punti di vista, ma un affetto fraterno come il tuo, che aveva superato pietosamente innumerevoli contrasti, perché in questa circostanza, al solo nuovo risvolto di saperlo ladro della foto di Maradona, ha mostrato una pietà inesistente, se non addirittura una soddisfazione per la tragica fine?
Troppi però.»
Bruno: -«Ormai hai deciso di andare fino in fondo, ebbene, ascoltiamo il secondo sogno.»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Per Aurora – volume quarto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quarto di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume quarto

seconda edizione

Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora volume quarto

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume quarto – Capitolo primo

Per Aurora – volume quarto – Capitolo primo

Capitolo primo

PARTE TERZA

I sogni

CAPITOLO PRIMO

Bruno: -«Aurora, nonostante il mio diretto coinvolgimento emotivo, questa che ho voluto raccontare, con il prezioso ausilio dei nostri straordinari compagni, sono persuaso che possa sì essere annoverata tra
“Le belle storie d’amore”,
ma sono anche convinto che essa non appartenga ad una singola persona o ad una sola coppia d’individui, né che sarebbe corretto presentarla come la catarsi del bene sul male.
Ho voluto porgerla alla tua attenzione, e naturalmente alla compiacenza dei tuoi ospiti, sviluppando i miei argomenti nella forma recitativa che è ormai consuetudine dei nostri incontri, affinché tu, Signora, possa decidere se dare o non dare un senso d’eternità all’amore tra il Popolo Napoletano e Diego Armando Maradona.
Tanto grande, così palese ed autentico.
Da un lato un uomo che inventa per se stesso un’identità collettiva, dall’altro, l’atavica civiltà di un popolo baro e ladrone che si lascia sedurre dall’integerrimo difensore della giusta amicizia.
Ne parleremo ancora, dopo, se vorrai, ora mi preme chiarire che l’averti proposto la lettura del mio diario non è stato frutto, come ho già detto durante la presentazione iniziale, di civetteria maschile, piuttosto dell’augurio che dalle sue pagine tu, Donna Guascona, possa essere spinta a valutare benevolmente la mia determinazione a punire. Non certo insita nella indole che mi riconosco.
Eppure, in questa occasione, l‘ho espressa con tanta forza da riuscire a trasferirla finanche nello stesso soggetto da sottoporre al castigo.
La baldanzosa indifferenza, con la quale i delinquenti quotidianamente depredavano (e continuano a depredare) di cose care i loro simili, è stata mortificata dalla lucida voglia di giustizia che avevo attivata con il preciso intento di indurre l’autore del furto a privare, per una volta, anche se stesso della sua unica ricchezza.
Mio nonno diceva che chi mangia cavallo non per questo diventa cavallo.
Ignazio di Frigeria e d’Alessandro aveva sottratto, durante tutta la vita, valori ben più preziosi dei semplici altrui oggetti.
Non aveva lesinato d’impossessarsi, subdolamente, finanche di sentimenti e d’idee non di sua pertinenza, pur quando questi fossero stati gelosamente custoditi dai legittimi detentori.
Mai un rimorso.
Mai un pentimento.
Nello scontro con il popolo del Pibe, detto in termini calcistici, imbambolato da finte e contro finte, pallonetti e pallonate, stop a seguire e passaggi smarcanti, genialità irraggiungibili, lui, il ladro senza coscienza, lui che tu hai già conosciuto in passato come mio fratello gemello dato in adozione dalla nascita, Ignazio di Frigeria e D’Alessandro, è finito per diventare, inconsapevolmente, un bene altrui.
I nonni non sempre hanno avuto ragione.
Aurora: -«Le assunzioni di responsabilità (tu hai affermato di averlo consapevolmente indotto al suicidio), quasi mai corrispondono a calcoli ignobili o disdicevoli.
Gli affetti perduti per sempre (Ignazio di Frigeria e d’Alessandro, nel bene e nel male, pur se vissuto in altra famiglia e differente contesto sociale, era comunque tuo fratello gemello) quasi mai si lasciano obnubilare oscurati da altrui ideali.
Perché hai telefonato ignorando chi fosse il tuo interlocutore?
Perché l’hai fatto pur non essendo certo che la persona alla quale ti rivolgevi avesse una personale responsabilità nel furto?
Come hai fatto a valutare la vita di uno sconosciuto meritevole di così immensa punizione?»
Bruno: -«Sai bene che il mio mestiere non è mentire.
Ed io so altrettanto bene che non sarei in grado di provarci neppure con uno sprovveduto.
È vero, la mia ricostruzione è stata incompleta ed il mio comportamento finale è, di conseguenza, passibile di giuste critiche.
Non mentire e non voler ingannare, non presuppongono l’obbligo confessionale della integrare illustrazione degli eventi e di un eventuale susseguente pentimento.
La ragione della mia apparente superficialità è spiegabile dalla precisa e decisa volontà, che non mi ha consentito deroghe, di stralciare dalle pagine del mio diario unicamente i fatti.
Con il loro carico di certezze e riferimenti oggettivi.
I sogni non lo sono.
I sogni sono forse una proiezione di antecedenti malesseri inespressi?
Oppure future aspettative non palesabili?
Visioni?
Chimere?
Lusinghe?
Banali effetti fisici?
Per me i sogni sono segreti.
Per me i sogni sono i segreti del mio cervello.
Per me i sogni sono i segreti della mia anima.
Nessuno ha il diritto, in nome della verità, di rivelare un altrui segreto.
Nessuno ha il diritto di tradire la propria anima o il proprio cervello.
Venerdì, la sera in cui ho ricevuto da [email protected] il messaggio con il numero telefonico da chiamare, è vero, non mi sono neppure posto la domanda di verificare chi fosse il titolare dell’utenza.
Per una precisa ragione.
Neppure durante tutta la successiva giornata ho cercato di sapere a chi esso appartenesse.
Per una precisa ragione.
Ed ancora, ho fatto squillare “quel” numero di telefono, la notte del 14 Agosto alle ore 23.54 senza neppure immaginare l’identità della persona alla quale mi rivolgevo con tanta sicumera.
Per una precisa ragione.
Per una ragione che non giustifica nulla, nel bene e nel male. Per un sogno.»
Aurora: -«Se io non conoscessi la dignità dei tuoi ideali, dubiterei fortemente di trovarmi di fronte ad una verità.
Sarei indotta a credere che le tue argomentazioni siano tentativi di aggiustamenti per comportamenti imprudenti se non addirittura colpevolmente semplicistici.
Se… »
Petrus: -«Signora, mi permetto di interrompere il vostro colloquio, poiché sono depositario di una confidenza che potrebbe risolvere i vostri dubbi.»
Aurora: -«Tu?»
Petrus: -«Io.»
Aurora: -«Ebbene parla.»
Petrus: -«Se potessi divagare maggiormente, mi piacerebbe raccontare l’origine della stima enorme che nutro per una persona (nonostante ella sia completamente astemia!)… »
Aurora: -«Al solito Petrus, bevi una grappa e limitati all’essenziale.
Saresti capace di narrare il diluvio universale o tutta la fuga dall’Egitto.
Essenziale, solo l’essenziale.»
Petrus: -«Grazie per la grappa, meglio doppia.
Conosco la Cristina del messaggio partito dalla casella [email protected].
Detto semplicemente, ella è la nonna del nostro amico.
Giochiamo spesso insieme a dama, e pochi giorni fa mi ha tenuto impegnato un intero pomeriggio per parlarmi del suo amato nipote.»
Aurora: -«Tutto qui?
Quale è la confidenza chiarificatrice?»
Petrus: -«Signora, sapete bene che le parole non scorrono senza grappa!
Hanno bisogno di liquidi spiritosi per evaporare!
Ah! Ah! Ah!»
Aurora: -«Purché ti sbrighi, bevi quello che vuoi.» Petrus: -«Sarò velocissimo.

Cristina mi ha riferito di due sogni, e del dialogo completo con le frasi precise che -ha detto- si sono scambiati lei ed il nostro amico.
Per me l’incontro con Cristina non è stato un sogno, quindi non è un segreto.
Lei non mi ha chiesto di non parlarne, quindi non espongo un segreto.
Cristina è una persona aperta, schietta, sincera.
Non ha segreti.
Ella in nessun modo mi ha chiesto, o fatto intendere, di non divulgare il contenuto della nostra conversazione.
Le sue parole sono acqua cristallina.
Beve solo quella!
Ah! Ah! Ah!»
Aurora: -«Petrus, ora basta.
Ridere ti fa male.
Ti asciuga la gola!
Ah! Ah! Ah!
Saresti in grado di ricostruire i due incontri?
Ripetere puntualmente e dettagliatamente le frasi e le scene?
Sì o no?»
Petrus: -«Nessun problema.
Anzi no, un problema: mi occorre almeno un’ora.
Nessun problema.
Anzi no, due problemi: ho bisogno di due persone che leggano la trascrizione del colloquio.
Un uomo (per la parte del nostro amico) ed una donna (per impersonare la nonna Cristina).
Nessun problema.
Anzi no, tre problemi: mi servirà una terza persona per illustrare tutto ciò che non sarà dialogo.
Nessun problema… »
Aurora: -«Hai a disposizione Edith, Edoardo e Tom, due ore, una bottiglia di grappa alla ruta, e quanta birra riesci a bere.
Sbrigati, nessun problema… »
Bruno: -«Noi intanto potremmo andare ad ascoltare un po’ di buona musica napoletana, suonata al pianoforte dal mio amico col fiore di ginestra (ginestra fiore amato dalla mia donna) all’occhiello del bavero?»
Aurora: -«D’accordo. Lo sai che c’è anche la donna dalle mani ambrate… »

Il primo sogno

Petrus: -«Questa che ascolterete sarà la fedele ricostruzione del primo sogno.
Era la notte tra il venerdì 13 ed il sabato 14 Agosto.
Dalle ore 4.35 alle ore 4.38.
Edoardo descriverà la scena vista dal nostro amico. Edith raffigurerà la nonna Cristina.
Ho operato al meglio per non omettere alcun particolare.
Una precisazione: nella bozza, alla fine, ho indicato con i puntini di sospensione l’interruzione, definitiva, della conversazione con quella frase incompleta.
Posso bere un Don Alfonso rosso corretto con poche gocce di Bitter? Grazie.»
Edoardo: -«Nel giardino della mia infanzia, tra la straduzza foderata da muri di cinta composti da lastroni lavici grigio-argento e la pineta dalle ombre piene di cicalii e voli di passeri, seduta su una panca di pietra levigata dall’uso e dal tempo, la sagoma era inconfondibile.
Il grosso tupè di lunghissimi capelli né tinti né bianchi, ma di un candore naturale per nulla incupito dagli anni, finiva legato da una antica pettinessa di tartaruga con decori brillanti.
Il busto eretto di chi si mostri in posa pittorica, le spalle dritte nella morbida femminilità di un’altra epoca, la voce calma, le parole semplici, i gesti misurati, mia nonna Cristina non ruotò mai la testa, non girò mai il viso… »
Edith: -«Piccirì, per non lasciar dubbi sulla vera essenza della mia presenza e sulla origine della mia richiesta, e non consentire che tu le confonda con tue immaginazioni o le possa erroneamente valutare alla stregua di tue chimere, come prova della superiore volontà che mi ha eletto tua protettrice, ti predico, per domani, l’incontro con un uomo (per la precisione egli sarà il secondo della giornata), subito dietro l’angolo del fotografo.
Egli, sarà un giovanotto dal pantalone rosso a mezza gamba, ti chiederà una sigaretta.
Tu gliela offrirai titubante e lui ti ringrazierà dicendo “Forza Diego”.
Quando poco dopo udirai lo scampanare delle dodici dalla chiesa di San Petrus, una bimba dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro, davanti alla fontana della Mandra, ti regalerà un fiore color del cielo.
Più tardi, il tappo della birra che bevi di solito a colazione porterà stampigliato, sul fondo, il simbolo della vincita al concorso “Stappate e-state con le bollicine”, ed allora ti collegherai ad un qualsiasi sito di scommesse on-line e punterai, vincendo, un solo colpo di cento euro alla roulette (non di più, né di meno), sul numero 33 (successivamente devolverai l’importo in beneficenza
alla “Associazione Recupero Sassofoni Orsi”).
Non sempre i sogni sono solitudini romanzate, a volte, ed il nostro caso attuale, in essi orbitano punti di contatto tra dimensioni altrimenti impermeabili.
Se avrai le previste conferme, tu saprai per certo da quale volontà universale ti viene l’ordine, bada bene dico l’ordine, di telefonare al cellulare che ti ho dato nell’ultimo messaggio.
È Lui l’infame.
Fallo, poi, immediatamente dopo, chiudi gli occhi e presto, all’alba successiva…»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

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ISBN 9781471072789


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Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
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Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
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Anno del copyright 2022

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Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume quarto – Undicesimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Undicesimo giorno

Edoardo: -«Domenica15 Agosto…
Il telegiornale della sera ha mandato in onda le interviste raccolte subito dopo il fatto.
Alcune di esse hanno rasentato, anzi sono sprofondate nel ridicolo, altre mi sono apparse come residui di comportamenti para mafiosi, tutte, tutte indistintamente sono risultate serve dell’inutilità, della banalità (le quali ormai sono caratteristiche considerate per niente offensive dagli assuefatti cortigiani telespettatori).
Il vicino che per primo è giunto nella stanza… »
Edith: -«Come tutte le notti, alle quattro sono salito a chiamarlo per andare a pescare…»
Edoardo: -«L’intervistato, amichevolmente dice pescare, io penso rubare».
Edith: -«… la porta era aperta, ma non rispondeva. Eppure teneva aperti gli occhi, ma lui non parlava. La faccia era una maschera rossa.
Era bravo.
Perché l’ha fatto?
Perché?»
Edoardo: -«Il giornalista, senza molti preamboli gli ha chiesto…»
Una voce dall’alto: -«Ha visto la foto di Maradona sul tavolo?
Era rubata.
Lo sapeva?»
Edoardo: -«L’amico compare ha risposto, con la stessa sfacciataggine e mancanza di pudore… »
Edith: -«Adda murì mamma, mai na cosa e chesta.
È vero, lo sapete, ho qualche precedente, ma non ho mai rubato nelle chiese.
Maradona non si tocca. Forse sbaglio, ma penso così.»
Edoardo: -«Poi è stato intervistato il medico legale, o ufficiale
sanitario non ho capito bene… »
Edith: -«Un colpo tra gli occhi. L’arma della offesa gli è rimasta tra le dita, imbrattata di un rosso sangue. Autolesionista.
Senza dubbio.
Ha fatto tutto da solo.
La foto di Maradona?
Un miracolo!
Neppure una goccia l’ha sporcata.
Eppure era a breve distanza.
La faccia del cadavere, poveretto, era una maschera rossa. Tutto intorno schizzi, ma la foto pulita, senza una goccia! Un miracolo.
Non credo di sbagliare.
Questo è il mio pensiero.
Un miracolo.»
Edoardo: -«A chiarire le modalità dell’atto mortale è stato un personaggio di enorme spessore: il Magg. Sott. Cap. del Nuc. Invest. Insud. Inest. Ossequiato nel suo Ufficio presso l’Alto Comando Terrestre Navale Aeronautico Satellitare Sottomarino Supervulcanico Antiterremoti Competente per Territorio… »
Edith:-«Constatata la fine avvenuta mediante colpo da se stesso inferto nella parte centrale della parete frontale.
Sopralluogato il locale di cui l’azione suddetta.
Dato ascolto ad eventuali testimoni. Ricevuta conferma negativa a quanto prima, e prima di quanto.
Abbiamo,
io abbiamo al giudice ed al Piemme notiziato la negatività criminosa dell’attività prodotta da improbabile seconda terza quarta e quinta soggettività di individui sottoposti a verifiche investigative aventi per oggetto il suddetto fatto inoppugnabile e di certa natura lesivatoria.
La foto di Maradona?
Dettaglio inqualificabile.
Era rubata?
Sarà la superiore giustizia suprema a deciderlo sopra tutto.
Noi, io abbiamo il compito di investigatore.
I giusti giudicano, cioè giudiziano, cioè giustiziano, cioè giudificano, i militari indagano.
Noi, io non siamo i giusti.
Ho detto qualcosa di sbagliato?
Io penso così.
Per noi, io, questa è la legge.»
Edoardo: -«L’ultimo intervento è stato realizzato tra la gente comune… »
Una voce dall’alto: -«Salve lei è l’edicolante di Piazza Delle Vittime?
Lo conosceva il suicida?»
Edith: -«E chi non lo conosce.
Ogni mattina compra… »
La voce dall’alto: -«Comprava!»
Edith: -«…il corriere dello sport e mi parla… »
La voce: -«Parlava!»
Edith: -«… dei programmi televisivi a pagamento che ha visto la notte.
Lo conosco, lo conosco.
Solo TV ed a spasso per i bar.
Mai altro.
Brava persona.
Un poco…
Ma è vero?
La fotografia, il maleficio, il castigo universale…
Non so più cosa pensare, è tutto sbagliato.»
Edoardo: -«In una comunità microscopica come la nostra, il morso di una cagnetta rappresenta la notizia dell’anno per Mimì, l’intrepido temerario super fascistone gigante, proprietario direttore redattore telefonista autista delle sei pagine “IL GOLFINO” di cronaca sport politica chiesa costume moralismo arte previdenza assistenza sanità viabilità abusivismo clientelismo bla-bla-bla-ismi.
Così come fa pagare tariffe astronomiche per pubblicizzare qualsiasi schifezza… -tutto-, nonostante la tiratura non stratosferica, egli sarebbe capace nella stessa maniera di pagare compensi irrisori… – nulla- al promotore di un simile evento!
L’edizione straordinaria uscita nella tarda mattinata mostra in prima pagina il corpo.
Si vede poco e di lato, benché la foto sia molto ravvicinata.
Ciò che si nota è una folta capigliatura, una maglietta striminzita a larghe strisce verticali, la mancanza di scarpe, ed il pantalone estivo a mezza coscia -scuro con una tasca dalla fodera rivoltata anche essa a larghe strisce verticali-.
Il titolo ad otto colonne con caratteri cubitali dice…»
Edith: -«Ancora una vittima innocente».
Edoardo: -«Più sotto l’occhiello…»
Edith: -«La nostra società crea solo emarginati».
Edoardo: -«Io avrei scritto: “Eliminato un altro colpevole”. “La nostra società non ammette emarginati”.
Il testo (firmato Biagino) tanto piagnucolante quanto pregno di populistiche ribellioni sociali, svolazza tra luoghi comuni ed incoerenza…»
Edith: -«La nostra attuale amministrazione, demo… pluto… comunist… social… dittatoral… anarch… globalist… padana minimalist… con a capo la Sindachessa, di poche pretese ma oggetto di molte caricature, democristiana, ex democristiana, felice sorridente, convinta assertrice dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) gigantesche e ben nutrite, delle razze marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua minuscola patria comunale, essa, eletta dal popolo pecorone vigliacco, non è stata in grado di creare un parcheggio in Via Delle Ginestre, per dare una speranza di vita civile ai poveri emarginati.
Così nascono i ladri, e così si muore uccisi dal rimorso.»
Edoardo: -«Io avrei scritto “Anche chi è nato ladro sa che Maradona non si tocca.”
Essere mariuolo è una professione non adatta ai fessi.
Dalle pagine con foto che tutta la stampa locale ha dedicato questo pomeriggio al suicidio, desumo i particolari della scena del tragico evento.»
Edith: -«Su un foglio di carta, strappato da un quaderno a quadretti, l’addio alla vita del parcheggiatore abusivo di Via Delle Ginestre abbracciava la foto del grande Diego.»
Edoardo: -«L’immagine del Pibe, in una posa da austero condottiero con indosso la maglia azzurra, era poggiata sul tavolo della stanza cucina soggiorno pranzo antibagno lavanderia e stireria, proprio accanto al corpo abbandonato nella stagnante aria pregna d’odori di
sughi bruciacchiati, di saponi marsigliesi, di panni sporchi e di piatti da lavare.
Il manoscritto dalla grafia di difficile comprensione è stato riprodotto in fotocopia e, di lato, integrato da questa più semplice trascrizione a caratteri di stampa… »
Tom: -«Dal giorno in cui ho rubato la foto di Maradona non ho più avuto pace, e non ne avrò di certo in seguito, né distruggendola né restituendola.
Il mio peccato di non averlo amato e neppure rispettato è stato enorme, finanche maggiore della mia sfrontata e baldanzosa azione. Non chiedo scusa e non mi pento, poiché capisco che ogni tentativo in tal senso sarebbe inutile.
Chi troppo ama non sa perdonare.
Abbiate cura dei miei figli.
Loro non c’entrano.
Ignazio.»
Edoardo: -«Ignazio, il mio fratello gemello!»

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Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

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Quarto giorno

Quinto giorno

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Ottavo giorno

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Poesie dei sogni

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seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume quarto

seconda edizione

Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora volume quarto

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume quarto – Decimo giorno

Per Aurora – volume quarto – Decimo giorno

Decimo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Decimo giorno

Edoardo: -«Sabato 14 Agosto … ore 23.54.
Ho telefonato al cellulare ricevuto da Cristina ed alla sua risposta… “Pronto”, senza presentarmi né chiedere chi fosse, non dandogli il tempo di interloquire, con molta calma, evitando qualsiasi interruzioni, suadente, deciso, gli ho detto…
Edith: -«Quando avevi venti anni potevi ancora fuggire alla tua coscienza.
Da giovani tutti ci siamo lusingati di essere simili a Dio.
Indistruttibili mortali.
Ora è tardi.
Non hai fiato per continuare la corsa.
Cessala, e sarai finalmente un distruttibile immortale. Sei braccato, emarginato, confinato finanche dai veri ladroni.
Puoi solo scegliere tra volare dalla finestra per dodici metri fino alla strada, pendolare al gancio di un lampadario, bere sette litri di acido muriatico, oppure, e basta, esploderti una cartuccia sulla fronte.
Fossi in te scegliere quest’ultima ipotesi, ma non intendo influenzarti.
Pensa che bello, non sei stato nessuno neppure rubando la foto di Maradona, invece diventi prima pagina liberandoci dai tuoi blasfemi inganni.
I giornali, i rotocalchi, le televisioni direbbero di te: “Con gli occhi vitrei su una maschera rossa.
Distruttibile mortale, diviene indistruttibile immortale!” Prova.
Un colpo solo.
Bum.
Non chiudere il telefono.
Bum.
Voglio sentire il colpo.
Attento alla foto.
Che non si macchi.
Dai, stronzo dai.
Bum.»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

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Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
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ISBN 978-1-4710-7278-9
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“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
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Per Aurora – volume quarto – Nono giorno

Per Aurora – volume quarto – Nono giorno

Nono giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Nono giorno

Edoardo: -«Venerdi13 Agosto…
Venerdì tredici per alcuni è considerato un giorno sfortunato!
Non esistono precise statistiche che analizzino quante volte “alcuni” abbiano ragione, e quante volte viceversa “tutti gli altri” siano nel giusto.
Dalle mie parti le superstizioni, i simbolismi, le scaramanzie, riceverebbero certamente, in un ipotetico palio cittadino, un numero di decorazioni superiori ad ogni altra aggregazione di “modus vivendi”.
Il raro gentiluomo che si appresta a lasciare il posto a sedere, nel bus stracolmo -ad una donna incinta con un bambino in braccio-, si blocca, irrimediabilmente, annullando il suo slancio umanitario se quella signora ha un colore viola nell’abbigliamento.
Va peggio se un lieve difetto fisico deturpa la linea delle spalle della donna in evidente difficoltà.
Viola è il colore delle onoranze funebri, i gobbi portano sfortuna.
Oggi è venerdì tredici e per l’abusivo di Via Delle Ginestre è stato un giorno particolarmente sfigato.
Avrebbe fatto meglio a non uscire da casa.
Si vede che non è superstizioso, o non ha fatto caso alla concomitanza di tredici e venerdì.
Stamattina l’abusivo di Via Ginestre, mentre era intento ad una semplice manovra di parcheggio, è stato distratto da due suoi compari che chiacchieravano ad alta voce della vicenda del furto ed il più anziano diceva, sputando con sfregio per terra… »
Edith: -«Chi ha arrubbato ‘a foto fa schifo ai mariuoli.»
Edoardo: -«L’altro, capelli biondi, sigarette americane, occhiali scuri linea e marchio Ferrari, incalzava… »
Una voce dal fondo: -«Ai mariuoli? Colui fa schifo all’umanità.»
Edoardo: -«Altri due sputi per terra.
Il nostro, per guardare la scena, si è distratto dalla guida, ha perso il controllo dell’auto e in un colpo solo ne ha sfasciate altre tre.
Fanalini, parafanghi, lunotti, cofani, marmitte, non si capiva niente, una serie di botti e crac e crrr e shchhh…
Edith: -«Gesù ma comm ha fatt…»
Una voce roca: -«Colui forse ha avuto un colpo di sonno.»
Una seconda voce, bisbigliando: -«Suonno?
Ma chill ha nguaiat pure o Porsce do ricuttaro de biliardi.»
Una terza voce dall’alto: -«Il ricottaro?
Vuoi dire lo spacciatore.»
Edith: -«Chehhe e chelle.
E mo sient a mugliera Margherita!»
La terza voce: -«Certo sono cazzi acidi per colui.»
La prima voce: -«Essa già ‘o vatte quando iss porta e sord, figurammece mo che non bastarrà ‘n anno e fatica.”
Edith: -«Certo.
Il biliardiere quando deve dare è stronzo, e tu lo sai bene come me, ma quando deve avere è proprio fetente, il più fetente di tutta l’Isola.»
La seconda voce: -«Fnnesce c’abbusca da i figl drocati do’ biliardiere e dalla stoppola della moglie.»
La prima voce: -«Per un colpo di sonno.»
La terza voce: -«Suonn, chill avrà visto ‘o riavuto» Edith: -«Andiamo Sasà, se no finisce che ci chiamano a testimone.
Comunque chi ha toccato a Maradona fa schifo all’umanità, è un figlio di puttana, pù pù, gli sputerei in faccia.»
Le tre voci insieme: -«’N faccia, ‘n culo.»
Edoardo: -«Poco fa, prima di concedermi qualche ora di sonno notturno, la curiosità di verificare i nuovi contatti, ed in special modo l’eventuale prosieguo della corrispondenza proveniente da [email protected], mi ha indotto ad aprire la casella di posta elettronica.
Vi ho trovato l’e-mail promessa da [email protected] con: il numero di un cellulare, la pagina odierna del Corriere riportante il nuovo articolo del furto e la foto della maglia in bacheca, e poi poche righe… »
Edith: -«Questo è il numero di cellulare della persona che cerchi.
Non chiedermi come l’ho ottenuto.
Fidati.
So tante altre cose su di lui.
Se vuoi, puoi, con immaginazione, contattarmi.
Non farti scrupoli.
È un bastardo.
Forza Napoli.
Forza Diego.
Forza noi.
Cristina.”
Mia nonna si chiamava Cristina.
La mamma di mia madre.
Ho chiuso gli occhi ed ho aspettato.»

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Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

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Primo giorno

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Ottavo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Ottavo giorno

Edoardo: -«Giovedì 12 Agosto.
Ogni parete delle vie principali è tappezzata da manifesti murali di scherno.
Lo scempio ambientale è stato feroce, catastrofico.
Trenta anni di un abusivismo edilizio da record mondiale, il primo posto nella hit parade cosmica delle costruzioni abusive, l’illegalità diffusa su ognuna delle particelle catastali relative a tutti i comuni dell’isola, le scarpate rese carrabili (!) dai Tizio per accessi a manufatti privi di qualsivoglia autorizzazione, i sottoboschi di felci e mirtilli promossi (!) dai Caio in prati verdi rasati e piscine artificiali (richiamo ipocrita alle bellezze della natura) per contorno e complemento di aberranti edificazioni prive di qualsiasi licenza, gli androni cinti da pietre scalpellate e picchettate a mano ristrutturati(!) dai Sempronio in mini appartamenti con aria condizionata, l’albergo costruito sul Canneto del Lido, l’altro albergo nella Pineta dell’Arso, l’altro albergo sugli Scogli di Punta Molino, l’altro albergo sulla Vecchia Bocca del Porto, l’altro albergo sugli indifesi cespugli di ginestre (ginestra, fiore amato dalla mia donna), l’altro alberg… l’altra strada… l’altro campo di calcio… l’altra villa (!) villetta (!), palazzo (!) palazzina (!), appartamento (!) quartino (!), ammezzato (!), terrazzino (!), tettoia (!) tettoietta (!), supermercato (!) negozietto (!), garage (!) parcheggino (!), capannone (!) capannuccia (!)… l’altro album fotografico di un territorio devastato da trenta anni di sequestri sigilli sentenze assoluzioni condoni connivenze… tutto ciò ed altro ancora, è stato niente a confronto della sfrenata apocalisse schiaffeggiata sui muri, sugli alberi, sugli asfalti delle strade e dei terrazzi, su tutto… dalla ribellione del popolo di Maradona.

Ho visto la torre campanaria di Piazza Crocetta sovrastata da una enorme bandiera con l’effige di Diego nelle sembianze di Ernesto “Che” Guevara.
Una gigantografia di Diego sui merli della cosiddettaTorre di Michelangelo.
Ho contato quattrocento cinquantasette “DIEGO” scritti con spray azzurro sulla parete della Galleria “I Nostri Ambasciatori”.
Nessun manifesto ha resistito, tutti ricoperti.
Non abbiamo più avuto notizie di detersivi, telefoni, morti, mutande, reggi zizze, dentifrici, computer, sagre, fiere, spettacoli, onoranze, proteste: sono state come cancellate da un uragano tifone tornado.
Nessun manifesto nemmeno politico (!) ha resistito alla furia incollante della protesta spontanea e totalizzante zampillata dai cuori napoletani… ».
Una voce: -«Diego è grande»
Un’altra voce: -«Diego è grande per tutti»
Una terza voce: -«Diego è grande per tutti i napoletani»
Edoardo: -«Diego in ogni angolo.
Il mariuolo è isolato.
Povero stronzo.»
Edith: -«Stronzo sicuro, povero vedremo.»
Edoardo: -«Ieri non ho avuto voglia di leggere la posta, stanotte l’ho aperta, solo per controllare l’eventuale arrivo di un altro messaggio spedito da [email protected].
C’è.
In effetti, sono solo tre parole… »
Edith: -«Piccirì, aspetta domani.»

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“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
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Settimo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Settimo giorno

Edoardo: -«Mercoledì 11 Agosto.
Questa mattina ancora prima di arrivare all’edicola di Piazzetta Gelsomino, avevo già saputo quasi tutto.
Il secondo quotidiano in classifica per tiratura nazionale ha dato notizia della vicenda.
Il popolare giornale locale, ed una delle più antiche pubblicazioni italiane sono entrambi usciti con un articolo, su sei colonne, e con due nitide foto raffiguranti la maglia nella vetrina.
Mimì mi aveva accennato qualcosa, ma non credevo che avesse tanto potere ed esibisse tanta solidarietà alla mia causa.»
Edith: -«Ed io ripeto l’operazione di conservare una copia dei giornali, prima che vengano barbaramente sgualciti dagli assatanati predatori di notizie che frequentano il locale.»

Edoardo: -«Giuseppina la Cicciona mi ha aspettato nella strettoia tra il fotografo ed il barbiere.
Non riuscendo a passare, per la ristrettezza dello spazio che la sua mole lasciava a disposizione, sono educatamente sceso dalla bicicletta. Sbagliando perché lei… »
Edith: -«Dottò, Dottò come site bello!
Aveto fatte buono.
L’avite misso a figure ‘e merda!
Io non parlo italiano e manco napulitano.
Comme a tutte, parliamo ischiaiolo.
Voi capite è vero?
Chillo adda murì schiattato ‘n cuorpo!»
Edoardo: -«Le ho detto “Va bene ma permettimi di passare”, e lei….»
Edith: -«Dottò, Dottò, ‘a pozzo tuccà a maglietta? Nu poc poc.
Non vi preoccupate, mi vado a lavare prima le mani col sapone.»
Edoardo: -«Non avevo ancora cessato di stringerle un polso pronunziando “Va bene, va bene, dopo, ma mi lasci passare?” ed ecco che Pasquale il microtassista , avendomi visto da lontano, ha preso il giornale che aveva poggiato in bella vista sul sedile dei passeggeri, e l’ha sventolato al mio indirizzo, urlando con una mano ad imbuto sulla bocca… »

Edith: -«Vai, vai, distruggilo, massacralo, uccidilo, non sei solo.
Tutti con te.
Forza Diego.»
Edoardo: -«Per un attimo ho temuto che mi avrebbe inseguito gettandomi un secchio d’acqua gelata sul collo, quasi fossi il suo ciclista preferito in testa all’ultimo strappo sulla scalata della Cima Coppi.
Nemmeno tre pedalate dopo, ventuno metri, approfittando del mio forzato rallentamento dovuto all’ovazione inaspettata di quattro ragazzi e tre palloni, lei Concetta Concettina Ina, la fotoreporter inviata speciale redattrice direttrice dei servizi serali d’informazione trasmessi dalla televisione locale, lei Ina la Vespa, la summa artefice, l’espressione, lo charme, l’intelligenza, la signorilità, l’educazione, la simpatia, la damina ovattata, l’idolo, l’invidiata, lei Ina la bionda, la fidanzata del figlio di Marco, mi ha bloccato con una mano sul manubrio -senza ritegno-, ha scudisciato il microfono a pochi centimetri dal mio muso, e, spudoratamente disconoscendo la palese ritrosia espressa dai gesti che compivo, con prepotenza… »
Edith: -«Ecco a voi, gentili telespettatori, l’uomo che ha sfidato la delinquenza più spietata.
Gli hanno rubata la foto dell’Idolo, e lui ha avuto il coraggio di riempire il vuoto, mettendo in esposizione nello stesso luogo addirittura la maglia, sì, la maglia del favoloso numero 10.
La maglia di Maradona.
La maglia mai lavata di Maradona.
La maglia mai lavata di Maradona, indossata dal Pibe in una partita di Coppa.
Ma ormai quest’uomo intrepido che osa sfidare la peggiore delinquenza per un ideale, non è più solo.
La sua battaglia è diventata una bandiera per la voglia di riscatto di tutto il popolo onesto del nostro golfo.»
Edoardo: -«Ina, Inuccia, posso passare?»
Edith: -«Il “Golfino”, nell’articolo di oggi, dice che tu, mediante l’ironia, hai proposto un nuovo sistema per sfidare la delinquenza.
Un po’ come le classiche pernacchie di Totò e di Eduardo De Filippo.
Cioè provocando l’emarginazione attraverso la beffa ed il ridicolo.
Proponendo, in un primo momento, la sfacciata provocazione del cartello con la notizia del furto, poi non accettando il cavallo di ritorno, infine esponendo la maglia del Pibe al posto della foto rubata, hai coinvolto una intera popolazione, accorsa compatta al tuo fianco nella sfida inimmaginabile prima del blasfemo affronto.
Dimmi, racconta ai nostri telespettatori, è vero che quattro, (quattro!) della Curva B, quattro, (quattro!) armadi umani, quattro, (quattro!) diciamo “ragazzacci” si sono auto nominati “CONTROLLORI DELLA SITUAZIONE MARADONA” sfoggiando ghigni terrorizzanti ed urlando slogan di chiaro contenuto minaccioso?»
Una voce: -«Maradona non si tocca».
Una seconda voce: -«Chi vo’ bene a Maradona è frat a me».
Tre voci insieme: -«Omme ‘e merda, mariuolo, vieni, vieni.»
Edith: -« E poi…»
Edoardo: -«Ina, Inuccia, Inetta, mi fai passare?»
Edith: -«Forza Napoli.
Forza Diego.
Felicino, fallo passare.»

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Secondo giorno

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Quinto giorno

Sesto giorno

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“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume quarto

seconda edizione

Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora volume quarto

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
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Per Aurora – volume quarto – Sesto giorno

Per Aurora – volume quarto – Sesto giorno

Sesto giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Sesto giorno

Edoardo: -«Martedì 10 Agosto…
Caro diario, con intraprendenza via-via più marcata ed evidente, piano-piano, il silenzioso composto flusso di visitatori si è trasformato prima in singoli capannelli vocianti, poi in folto raggruppamento di smaniosi protestatori, fino a sfociare nelle innumerevoli manifestazioni popolari entro cui io sono rimasto coinvolto quale essenziale punto di riferimento.
Ho incontrato un’infinità di persone.
Non ho mai parlato tanto in un solo giorno.
Non avevo mai parlato tanto in un solo giorno!
Il bello è che adesso sono già le tre di notte e quindi tu sei un diario “sfasato” come me.
Quando gli altri, i normali, gli educati, i similia similibus, i tele-dipendenti metodici abitudinari borghesi familiarizzati annusano il profumo del caffè per svegliarsi, io, scodinzolando come un serpente tra le sedie della cucina, apro il frigo, e bevo una super ultima birra popolare per addormentarmi.
Oggi (ieri!) per me è stata una giornata Bla Bla Bla parlata in un napoletano ischiota che non riesco a scrivere.
Tradurrò tutto in italiano, anche se l’originale fascinosa affabulazione dialettica perderà specifici connotati acustici di virulenza e passionalità.
Però più tardi, poiché voglio iniziare dalla telefonata che ho ricevuto prima delle nove, nove del mattino, quasi l’alba per me…»
Edith: -«Ciaoooo!
Come staiiiii?
È ver o o o o?»
Edoardo: -«Chi sei?»
Edith: -«Tanto è inutile, non mi riconosceresti per il nome.
Sono la milanese del Fernet e caffè freddo all’una di notte.»
Edoardo: -«Da Milano? Forse la bella statuina ventenne di striminzite origini nostrane? La bionda… »
Edith: -«Lei, sì.
È ver o o o o?
Possibiiiile?
Sono giunti a tanto?
Da noi il misero polacco lavavetri non commetterebbe mai una simile sciocchezza.»
Edoardo: -«Milano non è il golfo di Napoli.»
Edith: -«Guarda te, neppure in Africa.
Scommetto una fortuna.
Non lo trovi un pirla, voi dite fesso, che si condanna con tanta incoscienza.»
Edoardo: -«Come hai saputo?»
Edith: -«La “Corriera delle Otto” ne ha data notizia di buonora.
Per me, guarda te lo dice una ex terrone, lui, il mariuolo, è morto.
A Napoli non lo perdoneranno.»
Edoardo: -«Esagerata.
Napoli.
Morto.
I tempi sono cambiati.»
Edith: -«Per te forse, non per i Maradoneti.
Io ne sono un esempio. Infatti, la ragione della mia telefonata è per dirti che ho già spedito in posta celere assicurata, al tuo indirizzo, quindici fotografie esclusive di me bambina tra le braccia ed i piedi di Diego.
Te le regalo.
Fanne l’uso che vuoi.
Salutami Ischia.
Forza Napoli.
Forza Diego.»
Edoardo: -«Tu-tu-tu. Ha interrotto la linea.
Con molti sforzi, sono infine riuscito ad aprire gli occhi ed ho notato sul davanzale accanto alla finestra la striscia arcobaleno della luce filtrata attraverso il vetro socchiuso.
Era in una posizione di gran lunga distante dall’usuale.
Il sospetto che fosse presto, molto presto, prestissimo, molto prestissimo, moltissimo prestissimo, moltissimo prestissimissimo, molto moltissimo prestissimissimo per svegliarmi, è diventato dolorosa conferma alla vista del display, verde, inserito nel frontalino del decoder satellitare: ore 8.47.
Purtroppo.
Poche altre volte ho avuta la sfortuna di scrivere nel diario memorie di mie azioni avvenute tra le sette e le undici del mattino.
Le rare occasioni che mi vengono in mente sono state determinate o da avvenimenti luttuosi, o da partenze per lontane destinazioni.
Solo un particolare giorno lieto ha avuto il privilegio di tanta esclusività.
Ricordo bene.
Mi sposai alle undici, ma alle nove ero già sveglio. Comunque, stamattina (ieri?) ho recitato una lunga serie di imprecazioni italiane turche rumene latine inglesi francesi tedesche greche libiche spagnole polacche ed ucraine, napoletane romane veneziane siciliane, milanesi e bolognesi; ho bestemmiato tutti gli dei possibili ed immaginabili; sono andato nel bagno, e mentre urinavo più fuori che dentro il vaso mi sono sputato in faccia nello specchio, mortificandomi e giurandomi di non dimenticare mai più aperto il telefonino all’ora del sonno. Il sonno è sacro oltre qualsiasi notizia.
Dormendo sono finalmente solo con me stesso.
Il sonno è più sacro delle notizie e delle altrui esigenze. Quando dormo, c’è spazio esclusivamente per me e per i miei pensieri.
Pochi minuti dopo, ho infilato i calzoni chiari i sandali e la maglietta azzurra, il cappello da pescatore -azzurro-, gli occhiali da sole ultrascuri azzurrati, ho sbattuto la porta, chiudendola, con un fracasso da terremoto casamicciolese, ed ho iniziato il cammino verso il necessario caffè doppio senza zucchero.
Non riesco a bere la prima birra della giornata se non ho già masticato un grano di caffè che chiedo di aggiungere nella tazzina.
Mancavano pochi metri per giungere all’angolo rifugio che avevo scelto, accanto alla vasca dei pesci rossi, per indorare il forzato esilio (almeno fino alle undici nessuno avrebbe dovuto vedermi pena lo sconquasso di ogni relazione futura: amici, conoscenti, gente comune e nemici si sarebbero potuti avvalere di quel fortuito incontro per chiedermene altri simili in altre occasioni).
No, no, nessuno doveva notare la mia presenza in quelle ore), ed ecco, implacabile, la triste mannaia della FAMA abbattere le mie difese di riservatezza».
Edith: -«Ho letto della disgrazia e sono venuto personalmente a portare la mia solidarietà.»
Edoardo: -«Grazie, ma non è il caso di farne un dramma.»
Edith: -«Non è il caso? Dramma? Peggio, qui si arriverà alla tragedia.
Un giorno, cioè una notte (faccio l’autotrasportatore, nel piccolo, il furgone è mio, carico e scarico, prelevo e consegno, Ischia Napoli Pozzuoli, sono stato pure a Bagnoli una volta), una notte, mentre imbarcavo da Ischia per Pozzuoli, alle due, tre, quattro non ricordo, Bix, il mio cane da caccia, mezzo bastardo e mezzo combinato con un vero campione afragolese, non riuscì a saltare in tempo sul portellone del traghetto (era il ferry boat di Carluccio). Rimase a terra.»
Edoardo: -«Cose che capitano, che bevi?»
Edith: -«Niente.
Non sono venuto per bere.
Per Diego.
Sto qua per Diego.
Non dovevano farlo.
A me mi telefonarono sul cellulare a Pozzuoli e mi dissero che Bix era in loro possesso e se lo volevo riavere dovevo portare un milione di lire in contanti alle sei davanti al cinema Puteolum.»
Edoardo: -«Hai chiamato i carabinieri?»
Edith: -«Sei pazzo, gli ho portato i soldi e loro mi hanno dato Bix con pure un guinzaglio nuovo.
Io sì che ti capisco.»
Edoardo: -«Che bevi?»
Edith: -«Offri tu?»
Edoardo: -«No.»
Edith: -«Forza Napoli.
Forza Diego.
Ciao.»
Edoardo: -«La posta elettronica oggi trasborda di incitamenti e complimenti vergati con ogni tipologia di espressività, dalle frasi dialettali, alle figure ormai entrate nell’uso comune della internet comunicatività.
Ne ho lette alcune, non molte.
Non ho dato alcuna risposta.
Ho copiato sul desktop la nuova e-mail inviatami da [email protected]… »
Edith: -«Essa dice “Caro Bruno, credo che siamo quasi giunti alla meta.
Domani probabilmente… massimo dopodomani.
Ti abbraccio.»
Edoardo: -«E tre, sono tre e-mail anonime, sempre più confidenzialined intriganti.
Aspetterò domani!»
Edith: -«O forse dopodomani!»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Per Aurora – volume quarto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quarto di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume quarto – Quinto giorno

Per Aurora – volume quarto – Quinto

Per Aurora – volume quarto – Quinto giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Quinto giorno

Edoardo: -«Lunedì 9 Agosto…
Tanta, tanta gente si è soffermata incredula in silenzio davanti alla vetrina della porta principale. Quasi nessuno, forse per pudore, è entrato a chiedermi spiegazioni.
Non mi era capitato mai, ad agosto, di avere tempo per spulciare gli appunti di futili curiosità accadute durante le ore di lavoro e custodite -abbandonate- disordinatamente nei cassetti.
Oggi, durante la pausa pomeridiana, tra un gelato alla spagnola innaffiato di grappa alla ruta ed una grappa alla ruta corretta con gelato alla spagnola, ho avuto sottomano alcuni bigliettini che avevo accantonato nei mesi scorsi per utilizzarli in un racconto da titolare “Il chioccolo del fringuello”.
Il 13/07… alle ore 22.30 un piccolo bambino mi tira i pantaloni…»
Edith: -«Voglio una coca cola.»
Edoardo: -«Un euro.»
Edith: -«Non ne ho»
Edoardo: -«Vai da tuo padre e te lo fai dare.»
Edith: – «Lui si incazza.»
Edoardo: -«E che fa.»
Edith: -«Mi molla un buffettone.»
Edoardo: -«Grande?»
Edith: -«Ha una mano grandissima»
Edoardo: -«E ti da gli schiaffi?»
Edith: -«Buffettoni, e pure scoregge fortissime, e pure io le so fare a comando e puzzano pure e vuoi sentire e…»
Edoardo: -«Guagliò vattenne.
Il 13/07… ore 23.30 un uomo elegante e profumato, di circa quaranta anni… »
Edith: -«Mi dia tre Magnum Bianchi.»
Edoardo: -«Gli dico “Prego, tre euro e novanta centesimi. Batto lo scontrino, lui paga, ritira il resto, si avvia verso la porta, ritorna…»
Edith: -«Non mi dica niente.
Mi cambia un Bianco in un Gola?»
Edoardo: -«Certo.» Edith: -«Quanto?»
Edoardo: -«Gli dico “venti centesimi”, lui paga e si dirige verso l’uscita, torna… »
Edith: -«Non mi dica niente.
Mi farebbe lo scontrino per la differenza?»
Edoardo: -«venti centesimi?»
Edith: -«Sa è una cena, non vorrei non essere creduto, poiché dobbiamo dividere.»
Edoardo: -«Venti centesimi? Diviso quanti?»
Edith: -«Cinque.»
Edoardo: -«Sa che faccio?
Le emetto uno scontrino maggiorato di cinquanta centesimi, così lei recupera qualcosa per il disturbo del trasporto.»
Edith: -«Grazie, grazie molte.»
Edoardo: -«Il 24/07… ore 13, una trentenne, occhiali scuri, borsa da mare, magra, capelli aderenti al viso truccato in modo eclatante, forse romana, legge il menù…»
Edith: -«Gnocchi prego.»
Edoardo: -«Va bene.»
Edith: -«Non ci metta formaggio su.»
Edoardo: -«Non lo mettiamo mai. Solo pezzettini di mozzarella.»
Edith: -«No niente mozzarella.»
Edoardo: -«Mi spiace, non posso, è già nel sugo.»
Edith: -«Allora niente… vediamo… mi porti un panino.»
Edoardo: -«Come lo vuole?»
Edith: -«Come c’è?»
Edoardo: -«Pomodoro e tonno.
Salumi e formaggi.
Mozzarella e pomodori…»
Edith: -«Ecco, mi porti un panino solo mozzarella.»
Edoardo: -«Il 10/07… alle ore 1.30, un uomo di gradevole aspetto, abbronzato, alto, collana d’oro vistosa.»
Edith: -«Avrebbe della colla per topi?»
Edoardo: -«Perché se n’è fuggita?»
Edith: -«Chi?!»
Edoardo: -«La zoccola!»
Edoardo: -«Il 14/07… alle ore 19.30, un ricco con una ricca… lui, l’uomo… »
Edith: -«Un prosecco ed un caffé.»
Edoardo: -«La donna, rivolta dalla mia parte… »
Edith: -«Lei è sempre Don Franco?»
Edoardo: -«Mai stato. Credo!»
Una voce dalla strada: -«Coccooo… cocco belloooo… coo… ccoo…»
Edoardo: -«Il 4/07… ore 23.30, un tipo alla Franco de Angelo (il mio amico internazionale, amico quando non era internazionale)…»
Edith: -«A mia moglie è venuta voglia di un cioccolatino.»
Edoardo: -«Sfusi non ne abbiamo. Ci sono queste barrette da un euro.»
Edith: -«Ed io spendo un euro per una voglia di mia moglie?»
Edoardo: -«Il 24/07… ore 1.45, la signorina extra acchitata, pantaloni bianchi aderenti da far notare le vene pulsanti sui glutei e sul ventre, corpetto trasparente da mostrare le costole ed i polmoni, due labbra, due, rosse entrambe e gonfie una più dell’altra, sugli occhi tutte le schifezze immaginabili compresi i brillantini i luccichii ed i faretti miniaturizzati, ogni scarpa con punta di trenta centimetri, ogni dito con anello di mezzo chilo, ogni orecchio con catenacci dorati, al naso un chiodo nella narice sinistra ed un pipistrello nella narice destra… »
Edith: -«C…e… l’ha… un t…e…le…fo…no?»
Edoardo: -«No.»
Edith: -«Gli…e…la… pa… go… .E’…urge… n… te.»
Edoardo: -«Nessun tipo di telefono.»
La voce di un marocchino: -«Se urgen tu us mio cellul. Prend uest.»
Edith: -«G…r…a…zie. E’ acceso?»
La voce: -«Sì sì. Sì.»
Edith: -«Wé, amò, so’ pronta.»
Edoardo: -«Il 14/07 alle ore 1.30 è tornato quel cliente dei venti centesimi.
Ha comprato gelati, è venuto alla cassa… »
Edith: -«Quanto pago?»
Edoardo: -«Quando gli ho chiesto ad alta voce “Le faccio lo scontrino maggiorato come ieri?” ha cambiato colore e non ha risposto.
Come ho fatto a non capire subito che la persona accanto a lui era uno degli amici della cena precedente?»
Edith: -«Bugiardo.
Carogna!!!
L’avevi capito!»
Edoardo: -« Nel mio primitivo intento “Il Chioccolo del fringuello” avrebbe dovuto essere una specie di lavoro ruotante intorno agli sdoppiamenti di personalità della gente comune (i vip, di per sé, sono esclusi da ogni confronto).
Non era stata un’intuizione fallace.
Ne trovo la conferma riconoscendo attori, nel variopinto e folcloristico aggregato di folla incredula per la notizia del furto, gli stessi soggetti descritti nei foglietti che ho appena finito di copiare.
Tutti, tutti i commossi visitatori della teca ove era stata sostituita la foto rubata con la speciale reliquia, tutti gli adoranti sbalorditi ammiratori della mitica numero 10, tutti, di qualsiasi età sesso ed estrazione sociale, tutti potevano essere associati in una stessa collettività, una specie di setta segreta… »
Edith: -«I MARADONETI.»
Edoardo: -«Nella casella della posta in arrivo, l’unica significativa nuova e-mail che non sia pubblicità, proviene da [email protected]… »
Edith: -«Piccirì, abbiamo formato una squadra investigativa per identificare il colpevole ed affidarlo alla giustizia popolare.
Le nostre anime ti sono vicine.»
Edoardo: -«Un’altra e-mail anonima! “Piccirì” mi è molto familiare!
“Giustizia popolare” è un retaggio di altre epoche!
“Le nostre anime”, mah!»

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“Una prosa lacerata e sfuggente…”
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Per Aurora – volume quarto – Quarto giorno

Per Aurora – volume quarto – Quarto giorno

Quarto giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Quarto giorno

Edoardo: -«Domenica 8 Agosto…»
Edith: -«AT – TEN – TI.»
Edoardo: -«Il colonnello comandante la commissione medica preposta alla visita di leva, entrò scortato da due militari in pieno assetto di battaglia.
Con passi decisi e rumorosi, dalle nostre spalle si diresse verso la scrivania che avevamo di fronte, sommersa da alcune decine di fascicoli sgualciti e disomogenei.
Allineati e coperti.
Li avevo fissati a lungo durante i venti minuti di attesa -fermo in posizione di riposo-, e praticamente mi ero immaginato una storia per ciascuno di essi.
Il mio, di maggiore corposità -considerato il lungo percorso di uffici ed ufficietti attraverso i quali era transitato-, e che ricordavo essere di colore blu chiaro, lo identificavo, quasi con certezza, nel terzo in alto della seconda fila partendo dall’angolo sinistro.
Il colonnello, nel superarci, ricambiò il saluto militare al picchetto, e prese posto al centro della pedana approntata per l’occasione.
Non era sudato, il nove agosto di quarantadue anni fa, il colonnello bardato con camicia giacca e cravatta, decorazioni multiple, cappello con visiera, calzini e scarpe di cuoio pesante (forse anche maglia della salute e brache di lana lunghe fino ai ginocchi).

Non era sudato.
Nonostante il caldo torrido che stagnava sul disalberato cortile adiacente, e che penetrava nel locale in cui ci avevano ordinato di restare in fila allineati.
Neppure un ventilatore, alle due pomeridiane del nove agosto di quarantadue anni fa, trentotto gradi all’ombra, fermi immobili ormai da due ore, senza cibo, senza acqua, senza piscia, noi trenta ragazzi in attesa di visita medica per la leva obbligatoria.»
Edith: -«RI’ – PO’ – SO’.»
Edoardo: -«I nostri giovanili sbatacchianti pendulacchi dondolarono dal centro a destra e poi a sinistra ed ancora a destra ed al centro.»
Edith: -«Signor Colonnello, ecco i…».
Edoardo: -«Di quella esperienza mi è rimasto il senso di una intesa sotterranea, collettiva, non esplicitata, ma forte come può essere, in alcuni momenti storici una suggestione di potere che determina travolgenti rivolte popolari, una complicità spesso silente che oggi ho creduto di rivivere.
Per quale altro motivo, Giulio, il ragazzo scrittore musicista di padre importante, stamattina avrebbe deciso di attendere il mio arrivo allo Snack, confuso tra i tanti consumatori di sfizioserie e gli altrettanto numerosi curiosi di notizie e di pettegolezzi?
Sono arrivato in bicicletta, senza fretta, ben attento a non farmi cogliere alla sprovvista dall’agguato nel quale il bastardo cane stronzo (lasciato sempre libero dal padrone più animale, più bastardo e più stronzo di lui) di tanto in tanto riesce a sorprendermi. Portavo con me i giornali di cui sono abbonato e che ritiro all’edicola dell’amico Franco.
Questa mattina, da poche ore erano usciti, non uno solo, ma due quotidiani riportanti la notizia del furto e della successiva richiesta di riscatto.
Mimì è stato insuperabile. Ha coinvolto finanche una delle maggiori testate nazionali!
Due articoli per molti versi simili.
Precisi, incisivi, quasi sconvolgenti per la semplicità dell’esposizione e lo sdegno che provocano nel lettore (è il mio caso, naturalmente).
Mimì è stato il solito demoniaco trombatore di giovani notizie abbandonate e disperse.
Mimì è stato il solito guascone.
Si fosse limitato ad esporre l’accaduto riportandolo nel settore riservato alla cronaca -anche soltanto con un trafiletto monotono ed insignificante-, avrebbe, comunque, adempiuto al suo dovere di Direttore Proprietario Cronista.
Anche agendo in maniera meno sensazionalista e più sparagnina avrebbe ugualmente riservato, con suo pieno merito, una sufficiente soddisfazione a me questuante storico abbonato.
Invece, il grosso furetto bramoso epicureo di svolazzanti “Si dice”, bipede autoctono del sottobosco in cui alimenta le sue esclusive fonti informative, il Director Maximo ha applicato la metafora giornalistica dell’uomo che morde il cane -notizia di certo più eclatante dell’inverso-.
Ed io sono diventato l’Intrepido.
Il famelico giustiziere che addenta l’infame alla radice della sua formazione ombelicale.
Un uomo solo alla riscossa.
Un eroe contro l’ignoto.
Per Maradona.
Per un Simbolo.
Un Mito.
Un Popolo.»
Edith: -«Ecco una copia dei giornali da conservare prima che vengano barbaramente sgualciti dagli assatanati predatori di notizie che frequentano il locale.»


Edoardo: -«Ecco la ragione per la quale il discreto Giulio si è accostato ponendomi quasi di nascosto una mano sulla spalla, mi ha chiesto di seguirlo nell’angolo meno trafficato accanto al deposito bibite, si è aperto con voluttà la camicia a fiori hawaiani, e mi ha invitato a toccare… »
Edith: -«Toccala!»
Edoardo: -«Toccare? Io non metto la mano sotto la camicia di nessun uomo, giovane o vecchio che sia!»
Edith: -«Coraggio! Non è mai stata lavata! Toccala!»
Edoardo: -«Ma che… »
Edith: -«E’ la maglia che Diego indossava nella partita di Coppa Uefa contro il Werder Bremen nell’edizione 1989-1990.
Ancora impregnata del suo sudore!»
Edoardo: -«La maglia?»
Edith: -«L’ho portata per te.
Te l’affido.
Sei troppo forte.»
Edoardo: -«Non ci posso credere… tu… »
Edith: -«Sì, ti presto la maglia originale di Diego. Esatto.
Per darti la possibilità di scornacchiare quel fetente mariuolo.
Fanne ciò che vuoi.
Quando credi, mi telefoni e me la restituisci.
Dove posso posarla senza farmi notare dalla gente?»
Edoardo: -«Evito, perché sarebbe troppo lungo e noioso, di riportare tutti i pensieri che si sono accavallati ingarbugliati attorcigliati annodati e strozzati nel breve tempo trascorso tra l’arrivederci (un abbraccio appena accennato) con Giulio complice ed ammiccante, e la temeraria scelta di sistemare la mitica numero 10 nella vetrina dell’ingresso centrale.
Solo un folle come me può correre un così grosso rischio lanciando una sfida tanto palese quanto incosciente, tanto pubblica da non poter essere ignorata, ma dalla tanto fragile difesa.
Lo saprà nel giro di pochi minuti.
L’isola è piccola.
Al massimo in qualche ora.
È certo.
Il mariuolo non potrà non venirne a conoscenza.
Subito, al massimo in qualche ora.
Sarà come introdurgli un dito in un occhio.
Non potrà non agire.
Il problema è capire come e quando.
Con la forza, con l’inganno, attendendo la notte?
Vedremo.
La maglia numero 10 nella vetrina dell’ingresso centrale incorniciata dalla scritta più beffarda possibile…»
Edith: -«Mariuolo, nun si nisciuno.
Questa è la maglia di Diego. Provaci!»
Edoardo: -«P.S. Avevo già chiuso questa pagina di diario, ma prima di stendermi a letto avevo ancora una mezza birra semifredda da bere.
Mi sono accostato al computer, ho aperto la casella di posta e vi ho trovato un messaggio proveniente da [email protected].
Il contenuto mi ha stupito ed inquietato… »
Edith: -«Abbiamo lanciato per te un “Passa Parola” universale.»
Edoardo: -«Perché anonima?
Dicendo “per te” ha voluto puntualizzare una conoscenza, un’amicizia, una familiarità?
Come ha fatto a conoscere il mio indirizzo?
Con quali mezzi “Passa Parola”?
Perché “universale”?
Tutte domande con innumerevoli ipotetiche risposte.
Nessuna certezza.
Come una presenza indecifrabile, soprannaturale che va oltre il pur
indefinito popolo d’internet.
Mah!
La birra è finita…»
Edith: -«Buona notte.»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Per Aurora – volume quarto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quarto di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume quarto

seconda edizione

Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora volume quarto

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume quarto – Terzo giorno

Per Aurora – volume quarto – Terzo giorno

Terzo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Terzo giorno

Edoardo: -«Sabato 7 Agosto…
I miei primi pensieri stamattina sono stati dedicati alla richiesta di riscatto.
Avrò dormito sui chiodi tanto mi sono sentito in fibrillazione.
I pori schizzavano sangue bollente, non sudore.
Cosa fare?
Avrei voluto affrontarli.
Magari fingendo un cedimento alle loro richieste.
La vocina della vecchia saggezza popolare mi ha stoppato sottovoce, ricordandomi che i vigliacchi sono sempre vigliacchi. Ed allora? Cosa fare?
Ho, per un attimo, pensato di rivolgermi ai gendarmi.
La Patria paga un Servizio Difesa Cittadini (SEDICE).
Io sono italiano, cittadino, contribuente ed usufruttuario della severa struttura gerarchica predisposta a tale scopo.
E’ tutto semplice: mi presento allo sportello, declino le mie
generalità, espongo il crimine di cui sono stato vittima e l’ulteriore successivo tentativo d’estorsione, saluto deferentemente, mi allontano dall’ufficio e confido che loro risolvano il caso senza crearmi ulteriori disagi.
Semplice?
Dovrebbe.
Potrebbe.
Ma non è.
Nella realtà, a tale successione di propositi possono seguire questi accadimenti:
MI PRESENTO ALLO SPORTELLO…»
Edith: -«L’orario di apertura al pubblico dell’ufficio SEDICE addetto alle pratiche di:
AGGRESSIONI
FURTI
SCIPPI
STUPRI
VIOLENZE
MINACCE
RICATTI
SEQUESTRI
TRENTATI OMICIDI
OMICIDI
STRAGI
è dalle ore NOVE alle ore NOVE E TRENTA di tutti i lunedì dispari dei mesi pari degli anni bisestili.
La Sede Operativa d’ogni relativo previsto Sportello sarà comunicata, a mezzo organi d’informazione, almeno venticinque giorni prima.»
Edoardo: -«Vuol dire dover leggere tutti i giornali e guardare in contemporanea le trasmissioni televisive di tutte le emittenti operanti nell’etere nazionale, per ventiquattro ore il giorno. A partire da un lunedì dispari di un mese pari di un anno bisestile, fino al venticinquesimo giorno precedente il successivo lunedì dispari di un mese pari di un anno bisestile.
DECLINO LE MIE GENERALITA’… »
Edith: -« Lei è?…
Di?…
E di?…
Nato a?…
Il?…
Residente a?…
Dal?…
Domicilio?…
Dal?…
Titolo di studio?…
Conseguito il?…
Presso l’Istituto?…
Con voto finale?…
Professione?…
Iscritto al?…
Sesso?…
Dal?…
Situazione familiare?…

Figli?…
Figlie?…
Figliastri?…
Documento di riconoscimento?…
Numero?…
Rilasciato da?…
In data?…
Codice fiscale?…
Rilasciato da?…
Il?…
Segno zodiacale?…
Ascendente?…
Autocertificazione di esistenza in vita alla data?…
Di?…
Rilasciata da?…
Il?… »
Una voce -«N.B. Tutte le caselle devono essere riempite espressamente alla presenza del nostro funzionario.
Non sono permessi né lettura di appunti, né tanto meno telefonate di conferma od informazione.»
Edith: -«Fra tutti i questionari perfettamente rispondenti ai dati posseduti presso il nostro Archivio Noti e Notizie (ARNONO) verranno estratte a sorte alla presenza di un Funzionario Alto Profilo Notarile (FAPRONO), di un Rappresentante della Comunità Difesa Popolare (CODIPO) e di sette Delegati Partiti Parlamentari (DEPAPI), DUE profili di generalità che saranno ammesse alla successiva Sessione Informazione Criminale (SEICRI) che si terrà (se sarà possibile) a Parlamento riunito in sessione plenaria, da
quarantacinque a centocinquanta giorni dopo che saranno stati giudicati gli eventuali ricorsi alla graduatoria da presentare entro sette anni sette mesi sette giorni e sette ore dalla data di affissione all’Albo Pretorio della Comunità Europea Criminologia (CEP).
Si ricorda altresì che la Commissione ad hoc verrà nominata per sette quindicesimi dai ricorrenti, per sei quindicesimi da FAPRONO e per un quindicesimo dai provvisori assegnatari dell’ammissione al SEICRI.

Per completezza d’informazione si ribadisce in giorni illimitati la scadenza di cui prima, durante e dopo l’informativa passata presente futuribile postuma ed estinta.»
Una voce: -«N.B. Le tasse d’iscrizione sono forfetariamente determinate in un euro al giorno, sette euro alla settimana, trenta euro al mese, trecentosessantacinque euro e venti centesimi all’anno (Secondo la tradizione di Pulcinella), da versare anticipatamente con vaglia postale scortato da almeno due guardie giurate armate e provviste di giubbotti antiproiettili, intestato a NOI PER VOI Casella postale 61FE SCALOGNA SCALO ITALIA.»
Edoardo: -«ESPONGO IL CRIMINE DI CUI SONO STATO VITTIMA E L’ULTERIORE SUCCESSIVO TENTATIVO D’ESTORSIONE… »
Edith: -« Mi dica.»
Edoardo: -«Sono stato derubato di…»
Edith: -«Come fa ad affermarlo?»
Edoardo: -«Ho poggiato la foto sul cavalletto… »
Edith: -«Sia preciso, pony, da tiro, da corsa? Specifichi meglio. Trotto o galoppo?»
Edoardo: -«Cavalletto di pino siberiano incardinato…»
Edith: -«Struttura ecclesiastica cattolica?
Cardinale Russo?
Chiarisca.»
Edoardo: -«Con chiavarde… »
Edith: -«Moderi i termini se non vuole assaporare lo stringente abbraccio delle mie manette.
È fortunato.
Oggi sono stato premiato con medaglia, assegno e licenza mensile, per aver superato il record d’efficienza consistente in venticinque giorni di lavoro consecutivo.
I profani non possono comprendere quanto ciò sia difficile per il nostro equilibrio fisico mentale.
Non divaghiamo.
Lei dov’era all’ora del delitto?
Ha un alibi?
Confessa?»
Edoardo: -«SALUTO DEFERENTEMENTE… »
Edith: -«Le comunico che da questo momento lei è sottoposto ad indagine giudiziaria tesa ad appurare fatti misfatti e contraffatti di cui quando.
Può usare lo strumento telefonico per contattare persona atta a ricevere formulazione completa dei suoi attuali problemi giuridici.
Trenta secondi a partire da ora.
Via.
Trenta secondi trascorsi.
Lei non vuole o non può addivenire ad una soluzione compromissoria, pertanto… »
Edoardo: -«MI ALLONTANO DALL’UFFICIO… »
Edith: -«Formalmente, ufficialmente, gerarchicamente, mi corre veloce, espresso, rapido, il compito di informarla, obbligarla, costringerla a non lasciare il suolo nazionale, non allontanarsi dal territorio regionale, presenziare dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba nei limiti geografici del comune di residenza, non uscire dall’abitazione ad hoc, ad acta, ad limitum, delineata dai nostri hic haec hoc.»
Edoardo: -«CONFIDO CHE LORO RISOLVANO IL CASO SENZA CREARMI ULTERIORI DISAGI.
Non sarei sopravvissuto alla delusione del triste inganno.
Quindi?
Ed allora?
Cosa fare?
Ho preso pesantemente posto sulla poltrona accanto al telefono, ho sbirciato oltre il balcone per rassicurarmi d’essere solo, ho aperto il quaderno -con in copertina un epitaffio per Vasco- che funge da agenda, sgualcito, lacerato, abraso, schizzato di birra, pomodoro, insetticida, bruciacchiato da mozziconi di sigarette e residui di zampironi, scarabocchiato con disegni prevalentemente a spirali e losanghe, con gli angoli palesemente umettati e riumettati, insalivati, sputacchiati: l’agenda rubrica telefonica.
Tra i nomi, le sigle, le abbreviazioni, i soprannomi, i doppioni, le notazioni estemporanee, le cancellature, i rimandi, nessun altro all’infuori di me è mai stato in grado di decifrare il codice atto ad abbinare un numero telefonico ad una persona. Per me è banale.
L’utilizzo come se fosse un album di fotografie.
Ad ogni pagina corrisponde l’immagine di un ricordo di gruppo: A/B/C, 1961, la posa canonica fatta scattare dall’Istituto Scolastico qualche giorno prima dell’esame di maturità a ricordo della classe terza A.
Il secondo in alto a sinistra, dietro il Preside, non saprei più dire come si chiami, ma di lui non mi sfuggono né le sembianze, né le caratteristiche intellettuali.
Il recapito telefonico che cercavo era al centro della parte inferiore destra, scritto in rosso, nella pagina D/E/F. Già, infatti, si chiama Domenico.
Le assurdità dei nostri genitori a proposito dei nomi imposti – affibbiati- agli indifesi bambini, non hanno mai finito di stupirmi.
Non che oggi la situazione generale sia priva di critiche ed obiezioni, ma loro, negli anni trenta, quaranta e cinquanta, brillavano per conformismo, ipocrisia, assuefazione…
La Domenica è femminile.
Domenico è maschile.
Benito chiamava il figlio Bruno, e loro imponevano il nome Bruno ai loro figli.
A Napoli tutti Gennaro, a Bari tutti Nicola.
Gli ho telefonato…»
Edith: -«Domenico, mi è accaduto questo, questo, questo e quest’altro.»
Un uomo: -«’Overo! Tu che dici!
Ti mando subito un giornalista.
Arò stai?
Vabbuo, vabbuo, aspetta nu quart d’ora.
Tienimi informato se ci sono sviluppi.
Salutami a … a coso… sì a Tonino.
T’abbraccio.»

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ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
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Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
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Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
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Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
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Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
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Secondo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Secondo giorno

Edoardo: -«Venerdì 6 Agosto… Circa mezzanotte, squilla il telefono. Un’ora insolita per tutto.
Nessuno chiama al Bar a quest’ora per ordinare un caffè.
Gilda dorme da due ore. I figli non mi telefonano mai, poiché i soldi sarebbero l’unico motivo, e, quelli, li possono prendere solo venendo personalmente. Gli sbadati che confondono il mio numero con l’altro simile della rivendita di bombole gas, non hanno mai chiamato dopo le undici di sera.
Carabinieri, Polizia, Vigili Urbani, Commercialista, Avvocati, Banche, Fornitori, Cafi, Evi, Sip, Telecom, Tim, Wind, chi più chi meno non mi sembrano…
Al mio solito ho risposto dicendo: chi è?»
Edith: -«Siamo la banda del Torchio.
Maradona sta con noi.
Sta bene… »
Edoardo: -«Ah, voi siete gli stronzi che hanno rubato la fotografia.
Figli di puttane e nipoti di puttanone… »
Edith: -«Se lo vuoi devi pagare.
Mille euro… »
Edoardo: -«Stronzo, merda umana, figlio di zoccola e nipote di zoccolona, con la fotografia sai che ci fai?
La metti nel cesso e la guardi quando ti pulisci il culo, rotto di stronzo ricchione figlio e nipote di puttana che sei.»
Edith: -«Come?
La fotografia di Maradona nel cesso?»
Edoardo: -«In mano a te o nel cesso è la stessa cosa, stronzo.»

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Titolo Il furto della foto di Maradona
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Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume quarto – Primo giorno

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Primo giorno

PARTE SECONDA

Il diario di Bruno

Primo giorno

Edoardo: -«Giovedì 5 Agosto…
Alle dodici, come tutte le mattine, ho posizionato, tra la nuova insegna del locale “Da Gilda Snack Bar”, ed il bordo del marciapiede, il solito cavalletto con… ».
Edith: -« Gli inviti pubblicitari del giorno:
“Oggi ravioli con caciotta di pecore cilentane.
“La mia pizza è migliore della tua.”
“Solo un pazzo non beve il nostro Vinazzo.”
“Vinazzo, il vino del… ”
“Maradona è meglio e Pelé, venite a bevere un tè.”
In bella vista una maxi foto, 40X60.»
Edoardo: -«Mostra Il Pibe mentre si accinge a tirare un calcio di punizione.
Barriera superata.
Incrocio dei pali.
Portiere incredulo.
Palla nel sacco.
Cinquantaseimila urli.
Goooool.
Centododicimila mani applaudenti.
Goooool. Goooool.
Sei milioni di cuori in subbuglio.
Pum pum pum
Goooool. Goooool. Goooool.
Una sola canzone: “Maradona è meglio e Pelé”
Goool
Goool
Goool.
10 Maggio 1987, chi c’era non potrà dimenticare.

Io c’ero.

Messe in disparte, accantonate, dimenticate tutte le vergogne della nostra atavica inciviltà, ogni mortificazione della nostra servile accondiscendenza, gli slanci eroici dei nostri falliti assalti ai criminali soprusi, il vilipendio continuo delle nostre tradizioni, il nostro essere un popolo cittadino con tutti capi e nessun padrone -tutti compari e nessun amico-, la miseria del nostro dolore incompreso, la mortificazione permanente della gente senza diritti e senza rispetto per le leggi, gool, Diego è grande, noi siamo campioni, il Pibe è il meglio, noi usciamo tutti dai ghetti dai vasci dai fossi. Il 10 Maggio 1987, all’invasione pacifica, alla festa della festa, c’eravamo tutti da tutti i vicoli e da ogni quartiere.
Sfilarono i contrabbandieri di Santa Lucia, i femminielli dei Gradoni di Chiaia, i mariuoli dei Cagnazi, gli avvocati dei Quattro Palazzi, i politici di Piazza Municipio, i cozzicari di Mergellina, i pescivendoli, i medici, gli ambulanti, bambini e mamme ciascuno per proprio conto.
Mancavano soltanto le Frecce Tricolori, il Presidente della Repubblica, il Papa e Bin Laden, ognuno per un valido motivo.
10 Maggio 1987.
La foto di Diego mentre calcia una punizione dal limite dell’area di rigore, con la maglia azzurra che non si fregia ancora dello scudetto sul petto.
La sfera, accarezzata dal superbo piede di un mito, si alza da terra insieme ad un unico filo d’erba, si dirige verso gli avversari che, saltando, tentano di intercettarla, li sfiora superandoli, si allontana dalla nutrita barriera posta a protezione dell’angolo indifeso della rete. Il portiere rimane immobile, esterrefatto, intanto che la palla senza fretta, rotolando dolcemente su se stessa come una perchia tra le alghe smosse dall’onda di marea, telecomandata, s’insacca baciando beffarda l’incrocio dei pali.
Goool.
Goool:
Alle dodici, come tutti i giorni da un mese circa, l’ho sistemata sul cavalletto leggio. Due ore dopo, esattamente alle13,45 la foto non era più al suo posto.
Rubata.
Ho scelto, in un primo momento, di continuare ad agire fingendo di non essermene accorto: fare buon viso a cattivo gioco, al fine di superare nel miglior modo possibile la rabbia che mi opprimeva per l’impotenza verso la loscaggine inaudita ormai in pieno sviluppo finanche nei nostri luoghi a carattere ludico. Ho privilegiato, in maniera concreta, la necessità di superare con un breve stallo l’attesa di una improbabile favorevole soluzione.
Forse il palo era stato quel giovane, circa venticinque anni e spiccato accento foriano, quasi panzese, il cui gomito sinistro si mostrava completamente ricoperto da un tatuaggio a forma di ragnatela gigante.
Può darsi che sia entrato nel bar per distogliere la mia eventuale attenzione dal luogo del misfatto… »
Edith: -«Un caffé.»
Edoardo: -«Per costringermi in una zona del locale dalla quale non sarei stato in grado di controllare il leggio con la foto.
Quindi, a cosa fatta, un cenno d’intesa con il compare, e tutto è filato liscio.
Il fesso sono stato io.
Tuttavia mio nonno diceva sempre che “Alla fine della guerra si contano i morti.”
Oggi e stata la mia Pearl Harbour.
Il mio giorno 5/08… e l’americano 6/01/1941 sono fratelli gemelli.
Mariuolo fetente, ti schiatterò la testa.
Ti farò fare la fine dei Kamikaze giapponesi… BONSAI, e giù in picchiata nell’aria che luccica.
Nel primo pomeriggio, in contrapposizione alla finzione precedente per la sterile acquiescenza all’azione inqualificabile della truce canaglia, ho riempito, platealmente, lo spazio lasciato vuoto dal furto con la scritta:
QUI C’ERA LA FOTO DI MARADONA
RUBATA IL 5/08… ALLE ORE 13.
Da quel preciso momento, oltre ogni mia aspettativa, in poche ore, centinaia di persone si sono fermate a leggere e commentare.
Incredibile.
Una processione che non pregava “Pace” ma che voleva ordinare “Vendetta”.
Tanta, tanta gente si è fermata a leggere!
Più guardavo la scena della incredibile fila, lunga come all’ufficio postale nei giorni programmati per i pagamenti delle tasse (quasi sempre), e più mi assillavano precisi particolari di un ragazzotto tatuato.
Era circa l’una, il giovane dall’accento panzese, con una ragnatela scura tatuata sul gomito sinistro, aveva bevuto un caffè, aveva pagato senza fretta, e, uscendo, si era soffermato un battito di ciglia, niente di più, a guardare l’altra foto di Maradona che giganteggiava tra i liquori e gli sciroppi.
Un caso?
I casi sono due, o era un complice del ladro, oppure era stato il suo inconsapevole grimaldello.
Però, lo ricordo nitidamente, una volta giunto sul marciapiede, vicino all’insegna, ha alzato il braccio ed ha salutato ad alta voce una persona in movimento sull’altra parte della strada.
Un conoscente?
Un caso?
I casi sono due, o il conoscente era il mariuolo, oppure non lo era.
Ed allora?
Se il conoscente che lui salutava con ostentazione fosse stato il mariuolo, presumibilmente egli non ne era il complice, poiché, nell’ipotesi di correità avrebbe senza dubbio evitato il gesto che li accomunava.
Ugualmente, nel caso in cui mariuolo non fosse stato il conoscente, il suo saluto non lo indiziava di complicità nel furto.
Quindi i casi non sono due, ma uno: il giovane tatuato non è stato il complice del conoscente mariuolo.
Perché è chiaro che il ladrone non è stato l’uomo salutato. Mariuolo fetente, ti schiaccerò le tonsille passandoti un braccio dal culo.
Ti farò fare: BONSAIIIII settantuno volte con la testa di cazzo contro una corazzata americana nell’oceano Pacifico.
05/08… inizia la mia guerra al vigliacco furfante cornuto.»

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Sesto giorno

Settimo giorno

Ottavo giorno

Nono giorno

Decimo giorno

Undicesimo giorno

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

PARTE QUARTA

Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Per Aurora – volume quarto – Vetrina LULU

Per Aurora volume quarto di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 4wwn72

ISBN 9781471072789


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Versione 2 | ID 4wwn72
Creato: 28 ago 2022
Modificato: 29 ago 2022
Libro, 89 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm)
Standard Bianco e nero, 60# Bianco
Libro a copertina morbida
Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00


Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
Collaboratori Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7278-9
Marchio editoriale Lulu.com
Edizione Originale digitale
Seconda edizione
Licenza Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume quarto

seconda edizione

Racconti
Il furto della foto.
Poesie dei sogni

Per Aurora – volume quarto – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora volume quarto

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume quarto – Agosto

Per Aurora – volume quarto – Agosto

Agosto

Agosto…

PARTE PRIMA

Bruno: -«Mia cara Aurora, Petrus, amici, oggi tenterò, una volta ancora, di convincervi che alcune situazioni apparentemente “normali” covano invece, prorompenti,

“Le belle storie d’amore”.

In questo luogo, ove nessuna falsità ottiene ascolto, in questo vostro regno di giustizia ed uguaglianza, alla presenza della mia amica Signora Aurora, Donna Guascona eterna dispensatrice d’imparziali decisioni, qui, come in alcun altro lembo dell’esistente, si dissolve la miopia dei semplici per quanto essa attenda ad annettere in ciascun catalogo compartimentale solo elementi rispondenti a criteri di scelta elencati nei relativi rigidi formulari.
Con ciò mi riferisco, tra l’altro, alla moltitudine di qualificazioni riconducibili, sia nell’ambito della moralità sociale, e sia alla sfera dei sentimenti universali.
Sei onesto se:
1) non rubi le caramelle ai bambini
2) non rubi le caramelle
3) non rubi.
1) non butti i soldi dalla finestra
2) non butti i soldi
3) non butti.
Io credo che non tutti coloro che non rubano le caramelle ai bambini siano onesti, né, tanto meno, sia piacevole essere giudicati avari per il solo fatto di non buttare i soldi dalla finestra.
Ci vorranno ancora millenni per capire se Adamo abbia amato Eva, e viceversa.

“Le belle storie d’amore”.

Come i temporali estivi: tuoni fulmini venti onde frane annegamenti dispersi, trombe d’aria, nuvole nere, ombrelloni volanti, tende strappate, antenne divelte, luci spente, strade allagate, auto in panne, pescatori allarmati, il buon odore di terra bagnata, l’arcobaleno immenso tra Punta Caruso e Piano Liguori, il pulito dell’aria rinfrescata, la luna rossa come mai prima.

“Le belle storie d’amore”.

Come un giorno di sole a gennaio: Bologna imbiancata, gli spala neve, le auto brillanti come cristalli di ghiaccio, pedoni all’angolo del Pavalione, piadine, pizzette, ripieni di carne e ricotta, Venezia, un’ombretta di rosso rubino a mezzogiorno, le calle allagate, gli scafi fermi alle banchine, i colombi in voli brevi e beccate interminabili.
Ci vorranno ancora tempi indefiniti per capire se gli zingari amino una terra e se una terra ami gli zingari.

“Le belle storie d’amore”.

Appaiono tutte somiglianti, ma solo se vengono prese in considerazione per la rispondenza ai canoni catalogati.

“Le belle storie d’amore”.

In vero, nessuna è, non dico identica, ma neppure simile ad un’altra.
Esse sono tra di loro uguali, così come lo sono, fisicamente, i cinesi:
“Miliardi d’individui dai tratti identici: stessi occhi, stessa statura, stesso modo di porgere, stesso incedere.
Eppure gestiscono, con comportamenti del tutto analoghi ai nostri, i rapporti e le individualità.
Si riconoscono.
Le storie d’amore sono tutte uguali.
Io non sono né Gino né Lelio, e tu non sei Clara e neppure Antonella. Da Elena a Giulietta, dal Principe Azzurro a Dante, le vicende degli innamorati s’identificano, nel tema comune dell’irrinunciabile, perfino con la infinita determinazione Per me non conta altro della gente comune.
Ed allora io sono Gino, divento Lelio sono… tu sei….
La passione universale ed eterna del mito Medea è identica alla testarda ostinazione che in ogni attimo rende moltitudini di persone anonime, protagoniste di trombe d’aria tanto brevi, impercettibili e disattese, da smuovere a stento l’atmosfera sopita come quella delle loro famiglie, o quella delle piccole comunità nelle quali articolano l’intimità della loro vita, e, solo eccezionalmente, nei casi brutali più eclatanti, i venti delle loro vicende divengono elementi di curiose pruderie e pettegolezzi per le cronache da fondo pagina di giornali locali.
Le storie d’amore sono tutte fotocopie nel linguaggio e nella gestualità -come i cinesi-, eppure ciascuno di noi ripete e riconosce le proprie.
Io sono Clara, sono te, sono Antonella, tu sei me e Gino e Lelio.”

Forse in un’altra parte delle mie scorribande letterarie avevo già detto qualcosa di simile, forse sono ancora convinto di questa idea, forse vorrei avervi alleati nel superamento di ogni barriera convenzionale, borghese, indiscutibile, dogmatica.
La libertà di decidere con proprie convinzioni quando, come, se e perché, ammiccare riconoscendo

“Le belle storie d’amore”.
Certo il mio tentativo non sarà agevole, però conto almeno sulla vostra attenzione.
Vi ringrazio anticipatamente, e prego il buon Petrus di stappare per noi l’Aglianico migliore.
A volontà per un brindisi augurale.
Prima di introdurre la gentile partecipazione di Edoardo, Edith, Tom (ed alcune altre voci anonime) a voi ben noti, ed ai quali porgo un sentito sentimento di profondo affetto… grazie per l’applauso, credo sia determinante ed opportuno spiegare che, per dare precisa concretezza e specifica visibilità alle azioni successive al furto della foto di Maradona (questo infatti sarà alla base dell’argomento trattato), ho effettuato alcuni stralci dalle pagine del diario in cui avevo annotato le mie personali considerazioni sull’argomento. Esatto.
Vi verranno proposti i giorni nella loro naturale successione, e, per rendere incisiva la rappresentazione anche dei valori morali espressi, tralascerò, sbiadendoli ed accantonandoli, tutti gli elementi che non abbiano un nesso con i tempi ed i fatti in narrazione o che non ne siano stati diretta conseguenza.
Un grande sforzo di immedesimazione, alla fine, spero, premierà la vostra disponibilità.
Voglio aggiungere che ho inteso compiere una trascrizione in formato teatrale degli appunti inseriti nelle pagine dell’agenda-diario per non appesantire una lettura, la quale, altrimenti, avrebbe avuto necessità di molteplici interruzioni, sia per spiegazioni relative alle fonti, e sia per chiarimenti in ordine alla successione cronologica degli eventi.
Ascolterete, dalle voci dei nostri amici, le annotazioni che avevo scritto nella foga degli incalzanti episodi. Integrali, disarticolate, senza censure né aggiunte.
Nei termini esatti con i quali descrivevo, a me stesso, i fatti e le sensazioni di quei giorni.
Mi sono concesso una civetteria?
Non credo.
Anzi, voglio sperare che in conclusione sarà chiaro l’intento di spersonalizzare gli eventi per ricondurli ad una oggettività che ne qualifichi i significati.

Edoardo sarà la mia voce. La voce dell’autore del diario.

Tom effettuerà un unico intervento, nel finale, ma non sarà di poca importanza.

Edith… la mia cara Edith saltellerà tra note di diverso timbro, con la sua incredibile bravura, proponendoci differenti figure inserite nel contesto del racconto: uomini e donne, di dialetti e culture, oserei dire, variegate.

Ho avuto necessità di distinguere alcuni interventi, ed a tale scopo mi sono avvalso di voci anonime, che non compariranno fisicamente.

Per il momento è tutto.
Buon ascolto.
A dopo.
Grazie.»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica

Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

PARTE SECONDA

Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

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Bruno Mancini
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Modificato: 29 ago 2022
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Titolo Il furto della foto di Maradona
Sottotitolo Per Aurora volume quarto
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ISBN 978-1-4710-7278-9
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Edizione Originale digitale
Seconda edizione
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Titolare del copyright Bruno Mancini
Anno del copyright 2022

Descrizione
Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
Note sui collaboratori (1454 / 2500)
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.
“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume quarto – Dedica

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Per Aurora
volume quarto

Agosto 2022
Associazione culturale
“Da Ischia L’Arte – DILA”
Bruno Mancini

Edizioni

DILA

Per Aurora volume quarto
BRUNO MANCINI
Dello stesso autore nel catalogo DILA
Poesie
Promo uno
Davanti al tempo
Agli angoli degli occhi
Segni
La Sagra del peccato
Incarto caramelle di uva passita
Dedicate e Preferite
Non rubate la mia vita
Io fui mortale
Sasquatch
Non sono un principe
La mia vita mai vissuta
Erotismo, sì!
Tutte le poesie
Prose
“Come i cinesi”:
L’estate con la parrucca
Il Libro di Sonia
Ambiguità
Il Nodo.
“Per Aurora”:
L’Appuntamento
Vasco e Medea
Anche questa volta
La Notizia virgola – La Condanna punto
Così o come
La sesta firma
Il furto della foto
La menopausa di mia sorella
Così fu
Per Aurora – Tutti i racconti

Il furto della foto di Maradona

Poesie dei sogni

A Rosalba

… il dolce silenzio dei nostri sogni.

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Il furto della foto

PARTE PRIMA

Agosto

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Primo giorno

Secondo giorno

Terzo giorno

Quarto giorno

Quinto giorno

Sesto giorno

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Anno del copyright 2022

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Fatti e misfatti realmente accaduti, ma un po’ romanzati
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“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO FINALE

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO FINALE

Così o come Parte Terza CAPITOLO FINALE

CAPITOLO FINALE

… la porta era aperta, il telefono squillava come un pazzo, mi affrettai a rispondere.
-«Ahh… ahh… pronto ahh…»
-«Bruno!
Dov’eri?
È tutto il giorno che ti chiamo!»
-«No, niente.
Ero qui.
Dormivo.
Sognavo.»
-«Sognavi?
Ma se ti sento affannare!
Confessa, sei stato un’altra volta da quella zoccola, è vero?»
-«No, Amo’ non è vero, sognavo.»
-«Come si chiama… Aurora, se la incontro la uccido.»
-«Lascia stare… …
Ceniamo insieme?
Stasera alle venti?
Da Petrus, alla Nuvola Bianca?»

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
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Titolo
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Sottotitolo
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Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
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“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
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Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO SECONDO

Per Aurora – volume terzo – Così o come Parte Terza CAPITOLO SECONDO

Così o come Parte Terza CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO

Miei cari amici, certamente avrete apprezzato il grande sforzo di chiarezza e perseverante puntigliosità che ho sfacciatamente articolato nella stesura di questo racconto.
“Lui diceva…”, “Lei faceva…”, “Loro pensavano…”, C’era scritto che…”, “Voglio dire…”, “Cioè…”, in una ininterrotta rilettura esplicativa.
… Ma non è detta l’ultima parola, finché non è scritto l’ultimo rigo.
Se state cercando la sorpresa come quando rovistate nelle Balle di Pezze Americane ammassate su un banco di Resina, questa volta avete sbagliato indirizzo.
Ora, infatti, vi racconterò cosa accadde allorché la Signora, esaurito l’arduo compito di ristrutturare il fatiscente apparato burocratico, volle graziosamente dedicare a me la sua attenzione.
Nel catino d’Indianapolis la ferocia dei sorpassi e giustificata dagli stratosferici compensi economici.
Un metro avanti, può valere un miliardo di cose belle.
Io sapevo di non aver partecipato alla corsa per me stesso.
Sarei rimasto volentieri a bere birre popolari, nell’attesa dell’incaricato inviato a rendermi meno ostico il trasferimento.
Devo ancora chiarire che Egli, il traghettatore, non era mai giunto al mio indirizzo sempre a causa dello stesso errore.
Per l’uguaglianza tra i nostri DNA lo avevano inviato alla residenza di Ignazio!
Dall’altra parte dell’Universo.
Dove comunque Ignazio non c’era più.
Ma ciò è irrilevante.
Continuando nel precedente ragionamento, mi pare di aver dimostrato con sufficiente evidenza, che io non avevo agito in preda ad alcuna ambizione personale, bensì solo con l’obiettivo di liberare Ignazio, l’umanizzazione della mia fantasia, dal timore dell’ignoto.
Petrus hic, nel frattempo, non aveva lesinato né birre né sigarette (neppure a se stesso).
Uno smoking bianco mi mostrava la sobria essenzialità dei movimenti che l’uomo dal fiore di ginestra all’occhiello del bavero, rendendo ogni volta più tormentosa la reiterata canzone dedicata al compiacimento dei miei desideri, eseguiva in pieno distacco dalla realtà, abbandonandosi alla musicalità dei suoi ricordi.

“INDIFFERENTEMENTE SI TU M’ACCIRE NUN T’DICO NIENTE”

Il tratteggio, ordinato e ripetitivo, con cui la donna dalle mani ambrate muoveva le stecche di bambù del ventaglio giapponese procurava piacevole frescura alla mia placida serenità, ma fu troncato dall’avvicinarsi di Aurora, la donna guascona, “così o come” il canto mattutino del gallo, “così o come” la voglia senile di un figlio, “così o come” il dubbio “Io, chi sono?”.
Lei mi prese in disparte e disse:
-«Ignazio ritornerà ai suoi avventurosi accadimenti con la totale revisione del carico di azioni solo a lui imputabili.»
-«Ti ringrazio.»
-«Era semplicemente doveroso, con l’aggiunta delle nostre scuse.
Abbiamo eseguito miliardi e miliardi di controlli e, infine, siamo certi che non sono stati commessi altri errori.
Il tuo prezioso intervento è stato determinante per evitare che venisse azzerata la immacolata credibilità del nostro operato. Per questo, la Corte Suprema che ho l’onore di dirigere, ha deliberato di concederti il titolo e gli onori di:

GRANDE SUPER GUIDA DELLE PRATERIE TRA L’ESSERE E IL NULLA.

In più, un contratto mille volte migliorativo rispetto a quanto percepivi con la professione di “Lettore di giornali in pubblico”.
Potrai mettere a punto i particolari con i nuovi, dinamici, giovani, funzionari, già nei prossimi giorni….»
-«Grazie ma non dovevi, non volevo che…»
-«Non io ho deciso.
Si tratta di delibera della Corte Suprema.
Non puoi rifiutare.
Poi, accettando di buon grado la proposta di Petrus, il Consiglio Direttivo ha il piacere di nominarti:

CITTADINO ONORARIO CON LE CHIAVI DEL REGNO».

-«Accetto volentieri, per il piacere di potere incontrare ancora voi tutti.»
-«Anche il Sindacato Generale vuole partecipare con un attestato di stima, e ti concede due tessere che potrai assegnare a tua completa discrezione.
I beneficiari saranno liberi da qualsiasi altro impegno che non sia la totale dedizione all’adempimento dei tuoi desideri.
Per non permettere alla tua generosità di commettere inutili follie, e poiché sono anche un po’ “marpiona”, ho fatto i nomi dell’uomo dal fiore di ginestra e della donna dalle mani ambrate.
Ho sbagliato?»
-«Oltre che marpiona, io trovo che tu sia di una sensibilità inaudita.
Cosa potrei volere di più?
Ricongiungermi con la mia Anima e il mio Cervello!
Fantastico.
Hai ricostruito la triade della mia esistenza.
Temo solo di non meritare tanto, di non esserne degno.»
-«Di imbecilli ne ho incontrati a reggimenti, persone degne come te, davvero poche.

Quanto a me, nella disponibilità che mi conferisce il ruolo che esercito, io personalmente, la Signora, Donna Guascone, per te amica Aurora, ho decretato di assegnare al tuo DNA:

UN BONUS, CIOÈ UN SUPPLEMENTO DI VITALITÀ

Avrei voluto concedertelo di durata infinita, ma dalla nostra ortodossia intellettuale il termine non è accettato.
Né infinito né eterno, così, con una lieve forzatura, da voi si dice una “furbata” l’ho modellato per non farlo esaurire prima che finisca la “Tua Eternità”.
Per tutto il tempo che Essa vorrà, indefinitamente.»
-«Significa che…»
-«Hai già capito tutto.
Non aggiungere parole.
Ora, se vuoi, è l’ora di andare.
Infine ho accettato la richiesta unanime di tutto il mio popolo virtuoso di affidare a te questo cimelio.

UNA BACCHETTA DA DIRETTORE D’ORCHESTRA.

Con essa, Arturo Toscanini diresse per la prima volta a New York il 13 aprile 1913 la Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel suo resoconto sulla rappresentazione, il “New York Herald” mise il titolo: “Il Signor Toscanini, la Bacchetta Magica della Sinfonia”.
Eccola.
È tua».
Non appena la mia mano destra strinse la sottile asticella, l’ode “Alla gioia” di Schiller si elevò nello splendore di una solenne coralità: “Gioia, bella scintilla… Colui al quale è toccata la grande ventura d’essere amico di un amico, colui che ha ottenuto una dolce donna, mescoli alla nostra la sua gioia!”.
Finché strumenti a fiato, piatti, grancassa, giunsero al tripudio popolare traboccante con le voci del coro e dell’orchestra.

L’uomo dal fiore di ginestra, con larghi respiri seguiva il tempo della mia passione.
Non appena la mia mano destra strinse la sottile asticella, il soffitto, nebulizzato, lasciò spazio al cielo stellato della notte di San Lorenzo, lo specchio, in una dissolvenza… svanì Ignazio.
La donna dal bel ventaglio giapponese, entrò sorridente nei miei occhi.
Aurora guardò noi tre piangere abbracciati.
Per giungerci accanto, mosse due passi con il movimento armonico di mia sorella.
Accarezzò le nostre teste con la mano affusolata di mia madre. Disse: .«Vi bacio» con la voce profonda di mio padre e con un commosso sospiro di sollievo bagnò le nostre lacrime con le sue.
E tutti, tranne i malvagi:
Giuseppe, l’amante di Giuseppe, la sorella di Giuseppe, il marito avvocato della sorella di Giuseppe, i loro due figli maschi e la unica femmina, il figlio avuto da Giuseppe con l’amante, Luigi, Salvatore, Scisciò, Francesco d’Avellino, Violetta, la moglie del futuro ministro, Cecilia, un graduato dei carabinieri, un segretario di tribunale, il fratello di un consigliere comunale campano di un altro comune, con la moglie il figlio e la figlia, un funzionario di polizia, un parente, due parenti, tre parenti, un ufficiale sanitario, un addetto alle dogane, un proprietario di bar, un non ricordo bene, ah sì, un armatore falso spiluccato dalle alici nel mar baltico, un cane, un cavallaro, trentamila pipistrelli e tutte le stramaledette zanzare dell’isola d’Ischia, “così o come” avviene nelle più belle favole, continuiamo, tutti, a vivere felici e contenti.

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

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La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

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Poesia sporca

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Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume terzo – Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – Poesia sporca

Poesia sporca

Poesia sporca

La radio avanza sulle curve magnetiche.
Nel suo frantoio
spirano avanzi
innominabili
di belle speranze.
Nessun arpeggio interrompe la macina.
Stritolata
da robuste ganasce
sporca poesia mi imbratta.

 

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CAPITOLO PRIMO

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Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
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Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO FINALE

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO FINALE

La sesta firma CAPITOLO FINALE

CAPITOLO FINALE

Ora tutti, tranne i malvagi schifosi personaggi di un mio precedente racconto intitolato “La Vendetta virgola, la Condanna punto”:
Giuseppe, l’amante di Giuseppe, la sorella di Giuseppe, il marito avvocato della sorella di Giuseppe, i loro due figli maschi e la unica femmina, il figlio avuto da Giuseppe con l’amante, Luigi, Salvatore, Scisciò, Francesco d’Avellino, Violetta, la moglie del futuro ministro, Cecilia, un graduato dei carabinieri, un segretario di tribunale, il fratello di un consigliere comunale campano, con la moglie il figlio e la figlia, un funzionario di polizia, un parente, due parenti, tre parenti, un ufficiale sanitario, un addetto alle dogane, un proprietario di bar, un non ricordo bene, ah sì, un armatore falso spiluccato dalle alici nel mar baltico, un cane, un cavallaro, trentamila pipistrelli e tutte le stramaledette zanzare dell’isola d’Ischia, «così o come» avviene nelle più belle favole, continuiamo, tutti, a vivere felici e contenti.

24/08/2005, ore 03.15

Fine

Dedicato a mia madre, dopo tanto tempo.

 

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Come mai?
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Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO SESTO

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CAPITOLO SESTO

Lunedì 12 Agosto, ore dodici, alla civile formalità giuridica del nostro matrimonio mancavano solo cinque firme.

Meno cinque.

L’Assessore Delegato, doppio petto filo di scozia blu notte spagnola, cravatta parigina fucsia con animazioni americanizzate, camicia celeste cielo di primavera inoltrata lungo il fiume Danubio, calzini bianchi dei pastori greci di capre macedoni, scarpe con tacchi cinesi lacci coreani pelli di vacche australiane ed argentine e fodere d’antichi ricami persiani, egli, L’Assessore Delegato, baffo di limitate pretese ma oggetto d’innumerevoli caricature, democristiano, ex democristiano, felice sorridente, convinto assertore dei principi fondamentali ed inalienabili del matrimonio, del divorzio, della natura, della caccia e della pesca, delle zanzare e delle zoccole (topi, ratti, pantegane) giganti e ben nutrite, delle etnie marocchine e padane, della civiltà napoletana e padana, dell’Italia e della padania, della patria unita, della patria in pezzi regionali, della patria in pezzettini provinciali, della sua personalizzata minuscola patria comunale, egli, il Celebrante la Cerimonia Civile, terminato un breve discorsetto ufficiale (bella coppia, sono certo sarà un matrimonio modell… e simili cazzate), introdusse il rito laico delle firme sul registro.
Apponendovi la propria (elaborata in una schifezza d’immenso ghirigoro geroglifico) con ostentata teatralità, non creò disagio all’istantanea apparizione del ricordo nel quale mi rivedevo il pomeriggio dell’incontro alle giostre con Gilda.
-«Ho impegnato un secolo per decidermi a fare il primo passo. Senza ribellarmi ho lasciato che la nostra amicizia giovanile, il nostro affetto, la reciproca irriducibile attrazione che ci dominava, scadessero in un algido rapporto tra il “Dottò” e la padrona dell’American bar.

Ho visto il tuo ed il mio amore, come su quella giostra, girare girare girare fino a perdere il senso dell’equilibrio, e non ho porto loro una mano a sostegno.
Devo recuperare non solo il tempo perduto, ma soprattutto il coraggio di esistere.
Sposiamoci domani.
Tu sai quanto ti amo.»
Così le avevo detto nel luna park aspettando che Isidoro terminasse un giro sul trenino.
-«Mamma mamma, è bellissimo, ci sono gli indiani e Manitù.»
-«Vuoi fare un altro giro?
Vai.
Dai il gettone all’uomo con la divisa rossa.
Vai.»
Gilda non mi aveva chiesto dove ci saremmo sposati o dove avremmo vissuto, né chi sarebbero stati i testimoni, nessuna domanda relativa al ristorante, al viaggio di nozze, alle foto, agli invitati, bomboniere, addobbi floreali, limousine, paggi paggetti, velo velette, musica cori coretti anelli… catene. Nulla.
Gilda aveva iniziato dicendo:
-«Va bene…», poi aveva atteso che il pupo fosse lontano, ed allora, guardandomi negli occhi:
-«E lui?»
-«Sarà mio figlio.»

Meno quattro.

Egli, l’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, sempre pronto ad ascoltare le esigenze di tutti i grandi elettori, i bisogni, le attese, le speranze, le critiche, le malefatte, le elargizioni, le risse, gli imbrogli, dei concittadini democristiani ed ex democristiani, per poi offrire a ciascuno una soluzione, un compromesso, un contributo, una presenza, una delibera, una provvidenziale dimenticanza, e pronto anche a mostrare attenzione per la stessa serie di… (che per incredibile bontà non ripeto) segnalata, alla sua attenta autorità, da parte di popolani non amati in quanto infedeli (sia ex democristiani sia non ex democristiani, comunque appartenenti ad una diversa corrente politica).
In questo caso non specifico “per offrire ecc.” poiché a costoro più che l’orecchio non metteva a disposizione altro, ascoltava sopportava e basta.
L’Assessore Delegato, il baffo comunale, lui, il Consigliere a vita, l’uditore finto semi sordo, lesto ad intervenire in tutte le occasioni di felici incontri (ignobili mostre pseudo artistiche e funerali di criminali compresi), porse la penna stilografica delle cerimonie ufficiali al testimone maschio.
L’inconfondibile figura di un mio amico la strinse fra tre dita della mano destra.
Egli, che non aveva bevuto un goccio da svariati minuti, mi rivolse un fugace sguardo d’intesa e poi subito, con la solerzia di chi vuole ritornare a situazioni meno imbarazzanti, segnò il registro scrivendo per esteso ed a chiare lettere con caratteri stampatello, soltanto il proprio nome “PETRUS”.
In quei gesti asciutti e decisi, rividi l’uguale complicità della sua accorata partecipazione nel giorno in cui, deciso a compiere il grande passo, avevo bussato all’ingresso che lui custodiva, ed essi mi parvero suggerire d’avviare la riproduzione mentale di quel nostro ultimo incontro:
-«Signor Bruno, finalmente, e tanto che non ci vediamo.
Posso offrire una birra?
Prego entrate.
Super popolare ghiacciata?»
-«Grazie Petrus, la tua accoglienza è sempre emozionante. Come stai?
Bevi anche tu con me?
Sono venuto senza avvisare.
C’è Aurora?»
-«Come potrebbe mancare, la Signora c’è sempre.
Giorno e notte, estate ed inverno, primavera, autunno, anni bisestili e giorni di eclissi compresi.
Dall’era antidiluviana alla futura apocalisse, ogni ora, minuto, istante, per tutti, bestiole comprese.
La chiamo?»
-«Facciamo prima due chiacchiere.
Ti va?»
-«Certo, accomodiamoci nel salone di ricevimento.»
Mi ero sentito perfettamente a mio agio durante il breve tragitto che avevamo effettuato per raggiungere la sala ove avevamo avuto modo di intrattenerci in molte delle precedenti occasioni.
In essa, il lampadario a cinquanta bracci, soffiato a Murano nei primi anni del dopo guerra mescolando sabbia e petrolio, troneggiava ancora, aprendo la porta, riflesso in uno specchio, irregolare, ambrato.
Gigantesco padrone assoluto dell’intera parete frontale.
Sul lato destro entrando, al centro di rustiche grotte dei desideri, sbalzava, identica al mio ricordo, la chitarra rossa d’Elvis con nel bordo basso, annodati tra i rami di una ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna), trecento quasi invisibili ciondoli: ricordi di melodie assimilate in altri luoghi ed in altri tempi.
Ero di nuovo lì dove, il giorno prima del mio ultimo ritorno ad Ischia, mi erano stati consegnati magnifici doni per aver scoperto un errore gestionale che avrebbe potuto compromettere la dignità della mia Amica.
Petrus, mostrandomi il luogo dove era ubicata la pedana musicale, tra il rotondo divano nero contornato da cuscini lucidi di pelle di pantera e le piccole anse ricavate sul lato del banco bar, disse:
-«Mancano i nostri due amici.
Gli inseparabili cari compagni.
Uniti nella naturalezza di un tenero sentimento, più innamorati di mai, hanno sempre creato atmosfere musicali difficili da dimenticare.
Lui, con l’immancabile ginestra al bavero, e lei con l’identico inseparabile ventaglio giapponese a stecche di bambù che agitava nel giorno del loro ricongiungimento.
I loro posti li abbiamo lasciati vacanti, formulando in tal modo l’augurante presagio di un imminente ritorno.
Per evitare sconvenienti sensazioni di vuoto abbiamo mascherato l’angolo, come vedi, mediante la parete semitrasparente composta da un filare di fiori di ginestre frammisti a canne di bambù.»
-«Ecco le birre.»
-«Giuseppe vai alla porta.
Non ci sono per nessuno fino a nuovo ordine.
Lo so, la guerra in Iraq può fare vittime eccellenti.
Falle aspettare, o buttale giù direttamente.
Ti ricordo che il nostro amico ha ricevuto da questa Corte Suprema il titolo e gli onori di:
GRANDE SUPER GUIDA DELLE PRATERIE TRA L’ESSERE E IL NULLA.

Poi, su mia proposta il Consiglio Direttivo ha avuto il piacere di nominarlo:
CITTADINO ONORARIO CON LE CHIAVI DEL REGNO.

Nella disponibilità che le conferisce il suo ruolo preminente, lei personalmente, la Signora, Donna Guascona, per lui amica Aurora, ha decretato di assegnare al suo DNA:
UN BONUS, CIOÈ UN SUPPLEMENTO DI VITALITÀ.

Infine, per la richiesta unanime di tutto il nostro popolo virtuoso, gli è stato affidato un eccezionale cimelio:
UNA BACCHETTA DA DIRETTORE D’ORCHESTRA.

Con essa, Arturo Toscanini diresse per la prima volta a New York il 13 aprile 1913 la Nona Sinfonia di Beethoven.
Nel suo resoconto sulla rappresentazione, il “New York Herald” mise il titolo: “Il Signor Toscanini, la Bacchetta Magica della Sinfonia”.
Chiaro?
Non dimenticarlo mai.
Che aspettino gli altri, o buttali giù.
Chiaro Pepé?»

-«È proprio di questo che vorrei parlarti, delle mie onorificenze.
Ho deciso di restituirle…»
-«Benedettooooo… prego, ti prego Benedetto, due birre super popolari iper ghiacciate senza bicchieri, le beviamo con il collo nella bocca, ah ah ah, lui è un gran mattacchione, trova sempre il modo di mettermi allegria, scherza anche sui nostri doni.
Sì… vuole rinunziare!
Ditemi signor Bruno, ho capito bene?
È una burla.»
-«Petrus mi sono innamorato.»
-«Non è il caso di continuare a prendermi in giro, signor Bruno, le birre passano in un sorso.
Ah ah ah.»
-«Di una donna.»
-«È meno grave, una sola è sopportabile.
Ah ah ah.
Benedetto, pazienza, per carità Benedetto, fai portare due casse di birre dal frigorifero polare, una per me, misero miscredente, e l’altra per lui, scherzoso innamorato.
Ah ah ah.»
-«Di Gilda.»
-«Gilda?
Gilda la rossa d’Ischia?»
-«Sì, lei.»
-«NO!!!!!!»
-«Perché tanto stupore?
È la prima volta che ti vedo sputare un goccio di birra.
Improvvisamente hai cambiato completamente colorito.
Un secondo fa eri allegro ora sembri terrorizzato.
Gilda, sì Gilda la rossa di Via Colonna, ci vogliamo sposare. Che c’è di così strano ed allarmante?
Sei sbiancato.
Per lei voglio restituire i titoli e le onorificenze che mi avete elargito con tanta affettuosa magnanimità.

Non mi sembra giusto beneficiare da solo di privilegi ineguagliabili.
Lei ed io saremo un binomio indivisibile.
Né mio né suo: nostro.
Né io né lei: noi.
Come potrei custodire in segreto la bacchetta magica, il bonus di vitalità, la cittadinanza onoraria, ed il titolo di Grande Super ecc, avendo per obiettivo un rapporto paritetico e senza remore?
Voglio tornare umano tra gli umani.
Voglio, capisci?
Il mio attuale problema è come dirlo ad Aurora, senza offenderla.
Tutte le donne sono gelose e permalose.
Aurora potrebbe pensare che io voglia staccarmi dal nostro splendido sentimento amichevole, ma non è assolutamente vero.
Lei potrebbe credere che i suoi doni siano per me poca cosa, ma neanche ciò è vero.
Aurora potrebbe condannare la mia presunzione, considerarmi rimbecillito, credermi pazzo.
Ma non è vero.
Niente di tutto questo è vero.
Sono solamente innamorato e voglio vivere con la mia futura sposa, Gilda, nella identica dimensione che è consentita a lei. XYZTNOI.
Coordinate spaziali XYZ, temporale T, personali NOI.
Ho bisogno di te, Petrus.
Insieme, potremo convincere Aurora del mio immutato e profondo sentimento nei suoi confronti, e dell’amore assoluto che provo per Gilda.
Mi aiuti?»
-«No, no, non voglio ascoltare.
Gilda… è… la figlia adottiva di Aurora.»
-«La… di… Aurora?
Che sai, parla.»

-«Potessero scorticarmi beduini padani, stritolarmi gesuiti padani, bollirmi a fuoco lento pigmei padani, non dirò altro! Non altro.
Niente.»
-«Aiutami, non ti ho mentito, è tutto vero.
Anche Gilda mi ha sempre amato.
Voglio sia mia per sempre.
Ti ho portato in dono un liquore preparato con limoni che ho colto con lei sull’ultimo albero del bosco d’argento.»
-«Limoncello?»
-«Lo avevi già bevuto?»
-«Per Bacco!
Del bosco d’argento o della cava delle ginestre?»
-«Del giardino di Titina.»
-«Proviamolo.»
-«Che gusto ha?
Come lo trovi?»
-«Semplicemente squisito.»
-«Allora?»
-«Parliamone.»
-«Gilda è la figlioccia di Aurora?»
-«Non lo sapevate?
Siete pazzo, signor Bruno, ma io vi aiuto lo stesso.
Bruno, non sei folle, sei follia.»

Meno tre.

Allora venne avanti il secondo testimone, la mia amica Aurora.
Voi due lettori, stupiti, potreste pensare “Aurora testimone? Ma non è la madre della sposa?
E come, la madre fa la testimone?
Assurdo.”
Questo ragionamento ha qualche elemento di coerenza ma è viziato da due imprecisioni.
Una vostra, in quanto non ho detto che Aurora fosse la madre, bensì la madre adottiva di Gilda, e l’altra mia perché non vi ho ancora spiegato che, bevuto il boccione di limoncello e scolate le due casse di birre, Petrus ed io ci eravamo trovati semi brilli e semi ubriachi, con tanta amicizia in più, con maggiore conoscenza reciproca, ma senza un brandello di piano organizzativo da utilizzare per convincere Aurora a non ostacolare il mio matrimonio, e ad accettare la restituzione dei privilegi che mi aveva concesso.
Quando, da studente, leggevo un trattato di storia, il più delle volte ero portato a credere che toccasse a noi creare le occasioni che ci avrebbero cambiato la vita.
Nostra e di altri.
Vedi Hitler con Danzica.
Al contrario, durante lunghe immersioni subacquee, mi capitava di comprendere che anche un diverso sistema (pacifico oppure ostile poco importa), potrebbe elaborare occasioni che muteranno la nostra vita.
Un ramo di corallo incaglia la sagola e blocca la risalita all’ultimo respiro.
Uno sbiadito ricordo di quanto accadde in seguito alla disponibilità d’aiuto che Petrus mi offrì, già in partenza offuscato dalla dose massiccia d’alcool tracannato, tuttora non mi consente di comprendere chi sia stato il promotore della benevolenza con cui Aurora prese atto delle mie intenzioni, giustificandole ed operando per esaudirle.
Tuttavia è indiscutibile il fatto che ad un certo punto dell’affettuoso, riservato, intimo, confidenziale colloquio, con il ciondolante Petrus che mi sedeva accanto, io, pur essendo mezzo brillo e mezzo ubriaco, mezzo felice e mezzo incredulo, udii Aurora venirmi…
Udii?
Vidi.
Vidi Aurora dirmi…
Vidi?
Udii.
Sentii Aurora toccarmi…
Vidi Aurora venirmi incontro, sentii Aurora toccarmi la fronte, udii Aurora dire a me solo:
-«Dimentica.
Tu non sei venuto a cercarmi.
Tu non hai parlato con Petrus.
Tu non hai formulato richieste.
Tu non sai di me e di Gilda.
Dimentica.
Ricorda.
Noi saremo al fianco tuo e di Gilda.
Noi siamo vostri amici.
Noi siamo voi stessi.
Gilda non mi conosce.
Ricorda.
Aspettaci.
Celebreremo da testimoni le vostre nozze.
Io e Petrus firmeremo il registro.
Alle 12 del 12 agosto.
Aspettaci.
Aspettaci.
Petrus, regalagli un fiore di ginestra da porre sull’abito della sposa.»

Per questa ragione, quindi, la mia amica Aurora venne avanti come secondo testimone.
Mosse un passo.
Prese dalle mani dell’Assessore Delegato-Notaio la penna dai decori dorati.
Girò la testa.
Segnò il registro con un tratto per nulla lineare, incomprensibile.
Un saliscendi asimmetrico con grossi punti ai vertici superiori, che a me parve essere la riproduzione dell’accordo in Mi bemolle maggiore del secondo movimento, sinfonia n°3, opera 55, «Eroica», di Ludwig van Beethoven.
E mentre, con note dolenti, rimbalzavano nella mia mente, sia la malinconica angosciante tenera esecuzione dell’insuperabile Toscanini, sia la mai dimenticata descrizione che ne aveva offerto Samuel Chotzinoff “… il centro psicologico e spirituale di tutta la composizione e richiama, con i suoi episodi ora accorati ora grandiosi e superbi di sonorità, le vicende della vita di un grande uomo, dell’eroe nel senso più lato, che affronta e domina gli eventi del fato per arrendersi solo all’inevitabilità della morte.”, la mia amica Donna Guascona, restituendo all’Assessore Delegato – Notaio la stilografica dal nero inchiostro, lasciò uscire dalla bocca a contatto con il mio orecchio parole che speravo e temevo:
-«Ora devi essere forte».
Chiusi un attimo gli occhi per dissimulare la commozione, così o come avevo fatto il pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, mentre m’incamminavo in compagnia della mia buia solitudine, senza valigia e senza cappotto, verso il battello che mi avrebbe trasportato definitivamente nel mondo sconosciuto della mia libertà, Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, non so se inseguendo una micina o per venirmi incontro era ruzzolata con essa tra le mie gambe chiedendomi:
-«Dove vai?»
-«Parto.»
-«Portami con te.»
Io solo so quanto avrei voluto farlo!
-«Non posso, aspettami.»
Lei solo sa quanto doloroso silenzio ammantò la sua attesa.
Un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva:
-«Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.»

Meno due.

L’entrata rumoreggiante di un uomo trafelato, ansimante, eccitato, mi apparve dapprima nella improvvisa espressione di stupore timbrata sulla faccia baffuta dell’Assessore Delegato – Notaio, poi nel brusio attento e composto dei quattro dipendenti comunali che assistevano all’evento, infine nell’urlo, era un urlo, nessuno meglio di me conosce quel tipo d’urlo, l’urlo di una canzone disperata “Oi ma’ tu che me fatt e che me ditto, nu chiuovo dinto o core me nchiuvato”, il disperato urlo della belva ferita, King Kong sul grattacielo, la ciociara, il volo a piombo verticale di un innocente l’undici settembre, l’urlo di Ignazio:

-«GILDA NON FARLO.»

Aurora sottovoce mi ingiunse di non voltarmi, ed io ubbidii, cercò lo sguardo di Petrus per dirgli:
-«Ora», e tanto bastò a che immediatamente il mio XYZT, tre dimensioni spaziali ed una temporale, venisse troncato in due.
L’ordine della mia amica Signora, già programmato e detto in silenzio, provocò l’effetto di lasciarmi in quello stesso spazio, ma di trasferirmi in un tempo diverso.
Gli elementi delle mie coordinate XYZTIO (ics ipsilon zeta tau io) si trovarono a cavallo, in equilibrio, tra un luogo ed un’ora, tra due fenomenologie differenti, tra un prima e un dove, tra me stesso ed i miei ricordi.
Posizionati nella sfera di un punto dal quale il mio IO, in bilico su un se stesso, non riusciva a decifrare chi fossi, dove e da quando.
Correvo, credevo di correre, credevo di ricordare di correre, correvo ricordando di credere.
Correvo in bicicletta, correvo in bicicletta per una salita, per una salita sterrata, per una sterrata buia, immerso nella buia notte senza luna, nella notte buia senza luna, correvo in bicicletta per una salita sterrata nella notte senza luna successiva, credevo di correre in bicicletta per una salita sterrata nella notte senza luna successiva a… al giorno in cui Gilda, bambina, inseguita dalla madre era finita a rotolare tra le mie gambe e le ruote della bicicletta che mi era stata regalata per la promozione scolastica.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
Sudavo, sbuffavo, pedalavo, ma le curve in salita non finivano.
Al termine di un tornante, un filare di vigne a malapena riconoscibili sul bordo della strada priva di parapetto, mi aveva dato l’impressione, solo l’impressione, di un falsopiano finalmente scollinante.
Niente.
Riprendevo a pigiare sui pedali nel buio quasi assoluto, mettendo in continua discussione, oltre che il tratto da seguire per superare più agevolmente l’ennesima fatica imposta dalla curva a gomito, anche ed in ogni istante, la mia non programmata sete di avventura.
A soli tredici anni, su per un colle di settecento metri, lungo una via mai percorsa prima, inforcando una bicicletta dal cambio Campagnoli a tre soli rapporti e costruita con i pesanti materiali dell’epoca, in una notte senza luna, lungo un percorso disseminato da insidiosi burroni e continue innumerevoli curve cieche e svolte allucinanti, non mi rendevo conto di stare vivendo le mie prime quattro ore di assoluta solitudine.
Sdoppiato tra tempo e spazio, tra la brace e la padella, forse montavo in sella alla mia infanzia.

Gilda la rossa, non più irrequieto scugnizzo ma ora padrona assoluta di un intuito animalesco, non ebbe bisogno di voltarsi per comprendere.
Volle impedirmi d’essere partecipe, complice, corresponsabile della sua rivincita, e stingendomi il polso con la mano ancora priva dell’anello nuziale, alzò l’altra, a palmo aperto oltre la criniera dei capelli rossi sparsi sugli omeri (Mosè nel passaggio del Mar Rosso, la carica dei cinquecento, ALT, lo giuro), oltre il mantello della chioma adagiata sulle spalle in boccoli rossi, a palmo aperto senza voltarsi:

-«SPARISCI BASTARDO»

fece rimbombare nella semivuota sala consiliare.

-«SPARISCI BASTARDO».

Due volte in una successione che non consentiva equivoche interpretazioni.

-«SPARISCI BASTARDO».

Gilda per tre volte, senza voltarsi, con la voce profonda di mio padre, come una condanna definitiva, ripeté la frase della sua vittoria, quindi piegò verso il basso il busto con i movimenti armonici di mia sorella (un canneto nella bufera, la planata di un aquilone, curve fattezze di Renoir, quando sarò vecchio col bastone, l’omaggio finale al pubblico del San Carlo).
Spavalda, mostrò tra le dita affusolate di mia madre, la stilografica delle grandi occasioni dall’inchiostro nero nero nero con i decori dorati ed il pennino luccicante (la lancia di Don Chisciotte, un palo di telegrafo, la statua della libertà).
Decisa, sicura, veloce, zac, zac, zac, nel silenzio tombale della sala comunale, come nell’atto finale di una corrida, toreador ed animale, zac zac zac crivellò il registro con il suo nome.

Meno uno.

La donna guascona lasciò trascorrere l’attimo necessario a che l’eco spersonalizzata di quella condanna estrema giungesse nel buio della mia salita tra curve di strade sconnesse costeggianti infidi burroni, ed allo sguardo immobile di Petrus impose:
-«Continua».
Io finii, con la memoria, in miseri vicoli malfamati al centro di un inestricabile labirinto diramato giusto alcuni passi dietro vetrine, dal lusso sfacciato, esposte sulla strada famosa per i monumentali palazzi della nobile società napoletana.
Tra folla di gente in lotta per la sopravvivenza, ancora maggiormente mortificata dal contatto fisico con i vicini spregiudicati venditori di beni essenziali a tassi d’usura.
Ero dove la luce del sole non si presentava per non avvilire lo scuro delle anime vaganti, dove i giorni non contavano perché sempre tutti identici ed inutili, dove i bambini ed i vecchi non conoscevano diritti, dove la vita di un forestiero valeva un quinto del suo orologio, dove le sigarette le droghe le puttane, dove, allora, quando… quando mi sembrava di incontrare Gilda adolescente, spilungona e scorbutica, che rompeva il naso ai maschi se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre verso le mie gambe che reggevano la grossa moto regalo dell’ultimo esame universitario.
«Firma il registro» mi disse Aurora, contemporaneamente mostrando a tutti un ventaglio di seta giapponese, aperto, dai colori sgargianti, che la donna dell’appuntamento, la dolce Edith, l’anima della fantasia da sempre per me inseparabile compagna in tutte le vicende letterarie, aveva inteso consegnarle quale pegno d’adesione alla mia scelta.
Simile alla sua, certamente difficile.
Entrambe stupende per quanto di eterno, infine, avevano meritato nell’assoggettare ad un caduco amore terreno una immortalità esautorante qualsiasi sentimento.
Era quello stesso ventaglio modellato a forma di conchiglia che lei, la dolce Edith, la donna dalle mani ambrate, aveva agitato in semicerchi minacciosi voltando e voltando il busto eretto nelle lame del vestito nel giorno, per lei decisivo, del suo tenero “Appuntamento” con l’uomo dallo smoking bianco senza sfumature e dal fiore di ginestra (ginestra, fiore amato dalla mia donna) all’occhiello del bavero.
Non ebbi alcun dubbio nel comprendere la forza del sentimento che la cara Edith mi manifestava.
Congiunte dal lucente tessuto orientale, le stecche di bambù erano imperniate, nella parte inferiore, tramite un particolarissimo anello d’oro bianco con pietra di rubino.
Inconfondibile, esso era stato l’inseparabile gioiello dell’uomo dall’impeccabile smoking bianco senza sfumature e nessuno avrebbe mai potuto costringerlo a separarsene.
Era evidente che lui aveva deciso di privarsene da solo, lui, Il professore Edoardo, lui, lo spietato cervello del tormento stilistico che aveva scavate le mie idee.
Non ebbi alcun dubbio nel comprendere il valore inestimabile del dono che mi offriva.
Aurora chiuse il ventaglio, lo roteò di mezzo giro e lo tenne in bilico sulla falangina dell’indice puntato verso di me.
Bene in vista.
Al centro della luce proveniente dalla finestra aperta.
Osservai per qualche attimo il suo volto impassibile e poi di nuovo rivolsi la mia attenzione al ventaglio fermo a mezz’aria, immobile, bene in vista, al centro della luce proveniente dalla finestra aperta.
Simile al braccio di una bilancia posato sul cuneo formato dal dito di Aurora, non dondolava.
Conoscevo troppo bene la Donna Guascona per non comprendere la doppia allegoria del messaggio che mi stava inviando.
Non ebbi alcun dubbio.
La fantasmagorica illusione ottica decorata sulla scintillante seta orientale, in perfetto equilibrio con la preziosa durezza della gemma di corindone rosso!
Nel mondo dell’arte, la fantasia ed il tormento stilistico, pur distinti e disuguali, si sarebbero equivalsi se fossero stati sorretti dal gancio della verità!
Nel mondo dell’esistenza, l’anima ed il cervello non avrebbero dovuto sopraffarsi per non precipitare entrambi!
L’indice della mia amica Aurora era rivolto verso di me, né per minaccia, né per richiamo, ma come segno di scelta elettiva.
Ritornai lentamente con lo sguardo negli occhi di Aurora, affinché vedesse le mie palpebre chiudersi tre volte.
Avvicinai il registro ad un bordo del cavalletto di sostegno, e con grande sforzo di concentrazione riuscii ad imprimere un sottile tratto accanto alle altre firme.
Poco più comprensibile del breve tracciato di un elettroencefalogramma cardiogramma quasi piatto, il mio nome, la quinta firma, avrebbe dovuto concludere il rito.
Fu come estrarre la madreperla a quindici metri di profondità in un’apnea al sorso finale.

Zero.

Il gesto ipnotico con il quale calai la testa per apporre la firma, e la lieve torsione del busto verso il lato del leggio, furono sufficienti a che l’ombra che m’incombeva alle spalle, il sofferto spirito di assurde avventure, il mostro ingordo e allucinato, fantasma tra le grotte inesplorate della mia coscienza, Ignazio, notasse le dita affusolate e l’inconfondibile armonia dei gesti che compivo.
La “Signora” disse:
-«Ora».
Petrus chiuse gli occhi.

Ignazio, si spostò di un passo per scrutare le pieghe nascoste del mio viso.
Ci eravamo lasciati da così poco tempo che a lui, mio fratello gemello, bastardo avventuriero, furono sufficienti minimi particolari per riconoscermi.
La Donna Guascona infilò l’anello nuziale al dito della sposa.
Petrus compì lo stesso rituale all’anulare della mia mano.
Ignazio, il tormento di ognuno dei giorni e di tutte le notti che avevo trascorso insonni, l’umanizzazione della mia fantasia, scelse da solo la sua parte nella storia che andava a compimento.
Giunse a nostro contatto, avvicinandosi con i movimenti armonici di mia sorella, estrasse dalla tasca l’arma preferita per le sue battaglie (poteva sembrare una maxi penna stilografica), e con la voce profonda di mio padre scandì:
-«Manca un sigillo al vostro amore perché io possa andare a guardare il bene che non ho fatto.»
Con le dita affusolate di mia madre…

Bum
… si fece esplodere la cartuccia…
Bum
… tra gli occhi…
Bum
Uno schizzo rosso sangue…
Bum
… sparso sull’album delle nostre nozze…
Bum
… fu la sesta firma, la sua, posta ad avallare il sogno della mia vita.

Non firma, sigillo, aveva detto.

Ignazio, l’immortalità dei miei pensieri, liberò per noi, con il clamore che si conviene ad un amante tradito, la tanto attesa felicità terrena.
La sua sesta firma, il definitivo sigillo, fu l’indelebile riconoscimento della mia nuova coscienza.
Mi girai, guardai il suo corpo a terra con gli occhi vitrei in una maschera rossa, finsi di non riconoscermi, lo riconobbi, non piansi per non svelare il segreto del mio passato.
Strinsi in un abbraccio, antico e nuovo, Gilda, l’iconografia di tutto quanto avevo ed avrei amato, per sussurrarle, con il solo pensiero:
-«Il tormento è finito.
Per me la vita ricomincia.
La nostra unione sarà perfetta.
Io per te sarò migliore».
Isidoro, il pupo giovane e adulto, non più frutto di un incontro sbagliato e prematuro, ci corse incontro con i movimenti armonici di mia sorella, mi strinse le gambe con le dita affusolate di mia madre, chiedendomi, tra pianto e sorriso, e con la voce profonda di mio padre:

-«Papà, papà mio, vorrai bene un poco anche a me?»

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO QUINTO

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO QUINTO

La sesta firma CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO QUINTO

Da quel pomeriggio di sole arrogante e di buia solitudine, nel quale neanche il pudico esplicito invito di Gilda aveva ottenuto l’effetto di distogliere il mio proposito di partenza, non ero ritornato sull’isola se non in occasione di qualche festività, e non avevo mai cercato di incontrarla.
Neppure un contatto.
Nessuna corrispondenza, né una telefonata.
Perché farlo?
L’incontro dei nostri sentimenti avrebbe avuto necessità di ulteriore maturazione, d’altre vicende, per manifestare completamente l’attrazione che ci possedeva da sempre.
Un anno… due anni… il tempo indispensabile a che la fanciulla diventasse una donna.
Ma io ero partito troppo presto.
Lasciando incustodito l’unico fiore del mio giardino.
Tuttavia, ogni volta che gli strani incroci dei flussi migratori avevano condotto un qualche nostalgico compaesano dalle mie parti, dopo i convenevoli e le informazioni sulle condizioni delle nostre famiglie, immancabilmente, egli, chiunque fosse e per qualsiasi motivo si trovasse in viaggio, mi parlava di lei.
Voci diverse in tempi a volte molto distanti tra loro, accontentando la mia inesauribile malcelata tristezza, riuscivano a farmi rivivere un lampo dell’essenzialità che avevo abbandonato con crudele autolesionismo.
Gilda la rossa.
-«Ha aperto un bar, il Ruk Ruk, frigge panzarotti ed arancini a bizzeffe.»
-«Ha fatto i soldi, si è comprata una casa con giardino e terrazzo, sai, nel vicolo della fontana.»
-«La notte di San Lorenzo si sono appostati quasi tutti i suoi pretendenti, una cinquantina, sul marciapiede di fronte al Ruk Ruk per farle sapere che se avessero visto cadere una stella, lei sarebbe stato il desiderio espresso.
Senza scorno.»
-«È sempre più focosa e appassionata, ma continua a non volere nessuno.»
-«Guglielmo ‘O Stuorto le ha detto che tu hai rinnovato il contratto di lavoro per altri cinque anni, si è messa a piangere e non si è vista in giro per tre giorni.»
-«Ha cambiato tutto il locale.
Ti spiegai com’era?
Adesso, come si dice, è un locale moderno.
Niente più panzarotti, sta aperto solo di notte, ha tolte le reti e le nasse dalle pareti, tutto nuovo, lucido, americano, la musica, i liquori, le sedie alte intorno al banco, le luci nascoste sotto i tavoli e dentro le bottiglie.
C’è scritto: “GILDA, AMERICAN BAR.”»
-«Non si vede più a fare la spesa, a sculettare sul corso, a scegliere nei negozi una tovaglia da aggiungere al corredo. Esce la sera e ritorna all’alba.
Da casa al locale e tutto il contrario.»
-«È venuto uno di un altro paese, parlava italiano spagnolo, si muoveva come una femmina, aveva una voce incupita e le mani più lunghe del normale, è entrato una sera da Gilda, e il domani in piazza comprava i fiori per lei.»
-«Gilda ha saputo che ti avevo incontrato e mi ha chiesto se era vero che avevi firmato per altri cinque anni.
Che le dovevo dire?
Le ho risposto: “È vero”.
Mi ha detto “Vieni a bere una birra al nostro addio.”
Che significava?
Tu lo sai?»
-«Quel mezzo straniero le ronza intorno senza tregua.
Si vanta di aver combattuto in Viet Nam.
Mostra spesso a tutti una ferita, secondo lui provocatagli dalle schegge di una mina.»
-«Ha la barba su tutta la faccia, si vede solo il naso e la fronte. A me pare drogato.»

-«Rosina ha detto che Carmela ha detto che lei (Gilda) ha detto a lui (lo straniero) che lui le pareva una faccia conosciuta: “I tuoi occhi li ho già visti, la tua voce la conosco, ti muovi come… “ non ha specificato il nome, ma lei, Rosina, crede che Gilda stesse pensando a te.»
-«L’ha messa con la pancia, sì, come si dice, l’ha incinta, e appena l’ha saputo è sparito, squagliato.
Nessuno ne ha più saputo niente… mi spiace per lei, ma è un grande stronzo, fa schifo.
Nemmeno un indirizzo ha lasciato.
Un numero di telefono, nulla.
Svanito come al tocco di una bacchetta magica.»
-«Gilda lo chiama “Il Bastardo”.»
-«Il pupo è biondo, si chiama Isidoro.»

Molto probabilmente loro, gli emigranti erranti, al ritorno sull’isola compivano uguale servizio informativo per i miei familiari, i miei amici, e soprattutto per lei.
Non riuscivo ad immaginare quali novità carpissero nei fugaci incontri che ci concedevamo, né come le modellassero per renderle interessanti, ma certo ne facevano assiduo argomento lungo tutte le noiose giornate degli inverni ischitani trascorse al circolo sportivo giocando a maniglia:
-«Quando al Dottò gli ho confidato che è nato Isidoro, mi ha stretto il polso, fissato negli occhi e “Portami una foto.
Non dirlo a nessuno.
Ti prego” così ha detto “Ti prego”.
Gliela porto.
Me l’ha fatto giurare su mammà.»

In quegli anni di testarda determinazione, pur prestando scarsa attenzione alla cura della mia anima, compivo enormi sforzi tesi ad impedire che decelerassero gli intervalli delle pause di lavoro.
Ne avevo bisogno.
Esse erano necessarie a rendere accettabili le tenui ragioni in virtù delle quali riuscivo a non ribellarmi contro la serie di eventi, certamente per me spiacevoli, ma che nondimeno, se solo l’avessi voluto, sarei stato in grado di impedire anche con una semplice telefonata, un messaggio, una cartolina.
Fossi partito un anno dopo, il costo del mio dolore sarebbe stato il premio della mia attesa.
Soprattutto.
Il premio del suo dolore, la gioia della sua scelta.
Soprattutto.
Fossi partito un anno dopo, saremmo stati uniti e nostro figlio si sarebbe chiamato…

Giunse.

La telefonata con la quale Gilda accettava l’invito che le avevo scritto sul biglietto lasciato la sera prima alla cassa del bar, mi sembrò più un atto di cortesia che foriera di felici aspettative:
-«Disturbo?
Sono Gilda.
Vado a prendere il pupo all’asilo, poi potremmo incontrarci alle giostre.
Alle cinque all’angolo della posta, va bene?»
-«Alle… Gilda… sì, sì va bene, benissimo…»
Tu tu tu tu
La meraviglia per la rapidità con la quale mi aveva contattato, lo stupore per la docilità del suo seguire il mio desiderio senza porre domande, la scelta di andare in un luogo affollato dando adito a pettegolezzi, tutto ciò ed altro ancora, furono motivi che mi convinsero a credere che Gilda non aveva capito la ragione vera del mio invito.
Avvaloravo l’ipotesi che lei non aveva potuto comprendere le mie intenzioni in quanto non ero stato sufficientemente esplicito.
Esplicito?
Ammiccante.
“Il Dottò vuole passare un po’ di tempo in giro prima di tornare nel castello della sua libertà.”, forse aveva pensato così.
“Se il Dottò avesse una intenzione segreta non avrebbe scritto un biglietto, né tanto meno lo avrebbe consegnato aperto alla cassiera, dandole l’opportunità di leggerlo.”
“Uno che cerca un’amicizia più intima con una donna, non le chiede di uscire con il bambino.”
“Sarà in partenza per altri mille anni e vuole rinverdire ricordi passati.”
Aveva ragione.
Tre, quattro, mille ragioni.
Decenni di raziocinanti eccessi, avevano inaridito finanche ogni mio elementare presupposto di comunicabilità. Bravo!
Avevo speso gran parte della vita nella peggiore maniera.
Solo.
Solo, da solo.
Solo, da solo, senza essere solo.
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato. Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì.
Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO QUARTO

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO QUARTO

La sesta firma CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUARTO

Le donne delle mie terre sono come le mie terre: arse e rigogliose, luccicanti discrete ed ammalianti, cangianti, vulcaniche, abbandonate sfruttate maltrattate vilipese, affascinanti nonostante tutto.
Le più belle del mondo per me che le vivo, fantastiche per i fortunati che riescono a raggiungerne le riservate essenze. Tante volte mi ero invaghito delle une e delle altre!
Fin da ragazzo, durante ogni ritorno sull’isola, gustavo le metamorfosi, sia del caos cittadino in antichi equilibri pastorali, sia dei luminescenti palazzacci rapidamente mutati in scintillanti alberi stagliati tra un sole al tramonto e l’ombra di un ruvido promontorio.
Allo stesso modo, nei piacevoli abbandoni che permeavano i diversi percorsi d’avvicinamento alla mia isola, inserisco anche una lenta dissolvenza dell’incessante lamentoso miscuglio di suoni artificiali metropolitani.
Gli gnomi custodi degli antichi tesori naturali, e le gelose vestali addette alle tradizioni patriarcali, insieme abbarbicati sulle mie terre, lasciavano fluire, a poco a poco, bucolici chiarori ad incontaminati segnali acustici di ben definite presenze (pur se prodotti dai martelli e scalpelli vibranti fra le braccia indolenzite di baldi muratori), dai quali, l’attenzione con cui percorrevo le varie tappe che caratterizzavano i miei ritorni, distillava un fascinoso nettare di nostalgia.
Giungere una sera, una notte, da mille chilometri nel porto della mia infanzia era sempre stato uno scoppio d’amore per la mia attesa priva di lusinghe.
D’amore è troppo?
Va bene, allora, d’amore!
Ad ogni ripartenza, dopo una breve o lunga permanenza, quando ormai la contrada i boschi e le marine già mi avevano riconsegnato il dono di trasformarsi nella mia seconda pelle, allora ogni volta, senza alcuna eccezione, mille volte, le ricordo tutte, poggiavo il piede sul battello con la triste certezza di amare una Maria Luisina Teresa
Giuseppina… Gilda.
Gilda.
In un pomeriggio di luglio di tanti anni fa mi girava intorno, rincorsa dalla balia con in mano un piatto di polpettine, una bambina mingherlina e indisponente.
Gilda.
Non voleva mangiare, voleva mangiare alle sue condizioni, voleva mangiare ma sapeva che se avesse fatto meno moine non sarebbe stata inseguita, coccolata adulata.
Il giorno della mia promozione scolastica al ginnasio, avevo tredici anni, Gilda finì a rotolare veloce tra le ruote della bicicletta (che per quella occasione avevo ricevuto in regalo) ed i miei piedi, che a mala pena toccavano terra con la punta. Ruzzolammo entrambi per terra.
Al Corso Colonna, davanti al bar Italia.
La balia mi ordinò, quasi un presagio:
-«Acchiappala.»
Crescendo, gli anni di differenza tra me e lei divennero meno vistosi, ma i percorsi delle nostre scelte si divaricarono in direzioni quasi mai congiunte.
Spilungona e scorbutica, da adolescente le prendeva e le dava senza piangere.
Come un vero maschiaccio rompeva il naso ai bulletti se la trattavano da femminuccia, salvo poi correre annaspando, una sera d’aprile, verso le mie gambe che reggevano la grossa moto avuta in regalo per l’ultimo esame universitario.
Il ragazzetto di turno, quasi un presagio, le urlò:
-«Acchiappalo, perché se parte rimani sola.»

Alcuni anni dopo, pur essendo consapevole di aver programmato una lunga, forse lunghissima lontananza, in me non vi era stata superbia decidendo di lasciare gli amici ed i luoghi cari senza voltarmi.

In quella occasione non fu assente dal caos del mio mondo interiore, né il forte dispiacere di uscire dal palcoscenico delle spavalde passioni giovanili, né la consapevole testardaggine di rifiutare che mio padre continuasse a credersi padrone della mia vita.
L’aveva fatto per un quarto di secolo, doveva bastargli.
Nel pomeriggio luminoso e silenzioso in cui, senza valigia e senza cappotto, m’incamminai verso il battello che mi avrebbe trasportato oltre il muro prigione dell’isolamento marino, sulla così detta terraferma, quel giorno, era il tre settembre di un anno bisestile, la mia partenza non mi apparteneva come una fuga superba, ma come il risultato della indomabile spinta di un dolore.
Gilda, nella sfacciata bellezza della sua fresca fioritura, rossa, accoccolata ad accarezzare una micina spelacchiata sulle scale di una banca, vedendomi camminare da solo e desiderando che le giungessi accanto, fece un cenno d’invito ed appoggiò la mano sul gradino, mostrando il posto al suo fianco dove avrei potuto sedere.
Tanto bastò alla gatta per scappare nella mia direzione.
Prima la bestiola e poi lei, non so se per inseguirla o per venirmi incontro di corsa, scivolarono rotolando tra le mie gambe.
Quasi fosse stato un presagio, la vicina chiesa sbatacchiò tutte le campane, la nave all’ormeggio fischiò con tutti i fumaioli, l’allarme antifurto sconquassò le vetrate dell’istituto di credito, mentre un tassista di passaggio pigiando il clacson come si usa al corteo di una sposa, rideva rideva rideva suonava suonava suonava diceva diceva diceva:
-«Acchiappala acchiappalo acchiappala acchiappalo.»

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

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Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
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PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
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Bruno Mancini
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978-1-4710-7481-3
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Edizione
Edizione arricchita
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Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO TERZO

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO TERZO

La sesta firma CAPITOLO TERZO

CAPITOLO TERZO

Troncai di botto elucubrazioni e sotto insiemi di pensieri, ansiti interiori per timorosi accumuli d’indecenti indecisioni e contrapposte mature certezze mai esaminate con ompiutezza, virtuose virtù precipitate in una quotidianità brutalmente anonima e…uscii.
Uscii.
Non mi mossi in cerca di avventure.
Non avevo deciso di costruire la notte più bella della mia esistenza. Ai miei passi mancava l’intenzione di reiterare assalti a Ciccioline con poche pretese ed illimitate dedizioni. Né tanto meno, la cadenza monotona dell’andatura mi spingeva verso l’alcova di qualche indimenticabile gheiscia trasferita nella mia isola dalle fantasticherie, finanche eccessive e perverse ma giammai sguaiate, disseminate tra le balere notturne nell’arrendevole Budapest degli anni ottanta. Le notti senza stelle delle mie peregrinazioni epicuree!
Neppure volevo mortificare i teneri boccioli, o forse solo appendici irrilevanti, che piccoli corpi anonimi offrivano entro bettole, di facili identificazioni per le insegne con gli ideogrammi del lontano oriente, affogate nei fumi e nella coca.
Ne avrei avuto buon motivo, considerando gli onori che il giorno prima mi aveva generosamente elargito la mia cara amica Aurora, la donna guascona, la “Signora”.
Oltre tutto, percepivo ancora, incalzante, scandito in un ticchettio mentale, ogni singolo minuto che aveva caratterizzato la fase finale di quell’avvincente incredibile avventura, iniziata, quasi per caso, dalla improvvisa ed inaspettata telefonata con la quale Aurora mi aveva comunicato di essere stato “convocato”.
Quei momenti mi apparivano ancora scandire le ansie, per tutti i densi fardelli di domande senza risposte e di desideri irrealizzabili, che mi avevano oppresso durante il conto alla rovescia iniziato da meno quindici alla presenza d’Ignazio.

Cosa sono quindici minuti per risolvere un passaggio dalla vita alla morte?
Sono pochi?
Sono molti?
Sono sufficienti?
A chi affidarsi nel quarto d’ora che un cieco destino ci conceda prima di traghettare la nostra mente in un sito ignoto?
Ai maghi?
Ai demiurghi?
Agli amici?
Nell’incalzante ossessione delle lancette, per novecento secondi, novecento battiti senza pause.
Nella successione, tic tac, in altre occasioni ritenuta finanche monotona, ridicola.
Quali risorse attivare per trasformare l’origine del battito assassino degli ultimi minuti, in ordigno auto distruggente? Soldi?
Potere?
Impegno?
Uscii per cercare una spiegazione alla improvvisa, inusuale, sensazione di solitudine.
Piano piano, passo dopo passi, lemme lemme, lemme lemme, passo dopo passi, piano piano, mi ritrovai appoggiato al banco rivestito con formica azzurra del bar in Via Colonna, davanti al quale, poche ore prima, avevo imparato dalla bella Gilda che non tutte le birre si possono bere in un sorso solo.
Lei non c’era.
Non era tardi.
Le dieci di sera ad Ischia potrebbero essere paragonate alle ore antecedenti l’alba per Milano.
Non la vidi o non c’era?
Alla cassa una ragazzona squintalata.
Troppi gelati?
Poco sport?
Spaghetti a gogo?
Disfunzione Epomeidea?
Su uno sgabello giallo (tre piedi di ferro verniciato a fuoco, un cerchio di plastica rossa, lo stemma di una marca di gelati multinazionali super popolari come la mia birra), un bimbo biondo con boccoli sciolti fino alle spalle, dondolava le gambe, guardando la TV e succhiando un ghiacciolo.
Lo conoscevo.
L’uomo al tavolo d’angolo, con la sigaretta mai spenta bruciacchiata nei baffi e tra le dita, era noto a tutti.
Tre quarti degli indigeni, ed un terzo dei villeggianti, avevano almeno sentito parlare del Principe Innocente.
Lei non c’era o non la vedevo.
Accostandomi con finta disattenzione alla porta semichiusa che introduceva al locale “Privato” (un mini ambiente adattato ad ufficio, spogliatoio, deposito, officina), vi detti una sbirciata.
Lei non c’era.
Al banco bar, Gianni serviva da bere e folleggiava da solo…
E lei, Gilda?
Non lo sapevo, forse non lo sapevo, credo che forse non sapevo di essere lì per lei.
Ero lì per lei e non lo sapevo, penso che io non sapessi di essere lì per lei, credo ecc.
Gilda.
Tornai verso casa con una nuova euforia, poco consona sia al mancato incontro con l’esuberante vitalità della rossa Gilda, sia alla robusta delusione di non aver neppure tentato una soluzione per il quesito che mi aveva turbato all’uscita di Geltrude dalla stanza.
Una serata nottata no, negativa, eppure non deprimente.
Era una specie d’infantile beatitudine, un compiacimento.
Una serata – nottata quasi goliardica, da filone scolastico.
Mai successo da decenni.
Vi aggiungeva un pizzico di fisica piacevolezza anche il forte vento di ponente, che s’insinuava tra le barche cariche di nasse pronte a prendere il mare.
Non era la solita brezza che rinfresca, un attimo prima dell’alba, le notti delle afose estati ischitane, no, non era una brezza passeggera.
Come una giovanile compagna d’avventure, chiacchierona, l’aria, fluendo, mi soffiava la sua vitalità nel naso tra gli occhi nella bocca e sulla pelle.
La salsedine portata dal vento, quasi riempiva le rughe lasciate scoperte sul mio viso dal taglio della barba – barbona – barbaccia che fino a pochi giorni prima infoltiva grigiastra.
Il profumo delle praterie di posidonie, nastriformi ripari per gli scorfani e le mormore durante gl’inseguimenti subacquei che avevo concluso quasi sempre senza prede nell’ultima estate trascorsa ad Ischia, ad ogni più forte refolo dell’incipiente buriana – Don Chisciotte contro i mulini -, si accaniva contro i malefici aromi di sigari e sigarette inzuppati nei peli e nelle cartilagini del mio naso nasone nasaccio.
Soffiava forte, non era una brezza, il vento di ponente, a raffiche dolorose per gli occhi che trattenevo aperti, ed intanto umettava, con una soffusa vaporosità, le mie labbra socchiuse, quasi in un bacio.
Nell’abbraccio malizioso di una prima volta.
Avevo preferito ritirarmi passando sulle passerelle di legno a ridosso degli scogli scuriti dalla luna al tramonto oltre la collina, piuttosto che opprimere maggiormente, con un percorso più usuale, la delusione di non aver tolto neppure un grammo al dilemma del mio sentirmi solo.
Tutti i più anziani pescatori conservavano, in precisi ricordi, le stravaganze giovanili delle mie sortite notturne.
Iniziando dai modi con i quali, di solito, avevo cercato fisicamente i contatti con la natura, fino alle domande che ponevo.
Anch’esse, dal loro punto di vista, erano sempre state considerate ben strane e strampalate.
-«È bravo, ma è un po’ matto» dicevano di me parlando tra loro.
-«L’amante l’ha lasciato per un marocchino indiano.
Io l’ho visto sul pontile, aveva i capelli come quelli dei film, lisci azzeccati e neri, non scuri, neri.
Lui era stato fuori per lavoro, lo sai com’è, viaggia, scrive, legge, cambia albergo.»
-«Non ha mai avuto amanti, che dici.»
-«Che ne sai tu, tutte balle…»
-«Mi chiamo Totonno ‘O Saragone perché so tutto di te di lui come dei saraghi e delle spigole.»
-«Non ci credo, è sempre stato sballato.»
-«Da piccolo me lo ricordo in bicicletta fare gare con la carrozza della buonanima di Bastiano.
Che ti credi che non lo conosco?
Non ha mai avuto un’amante.
Forse era una segretaria.»
-«Tutti lo sappiamo.
Ne aveva tante.»
-«È stato sempre così.
Bravo.
Bravo.
Brav’uomo.
Buongiorno, buonasera, buonanotte, buono tutto, ma non si è mai sporcato le mani a spingere una barca.
Lui dice: “Buongiorno, vuoi una sigaretta?
A chi appartieni? Quanti figli hai?”
Non capisce che le barche non funzionano con le parole.
Ci vuole sudore e fatica.
E mo’ sta peggio, chi sa perché.»
-«Cirù, Ciruzzo O Schifo, tu e Totonno non avete capito nu’ cazzo.
Non siete informati.
Non devo chiamarmi più Emilio Tressette E Maniglia se non è vero che sta così per quello che iss ha scoperto ora che è tornato dall’ultimo viaggio.
L’avevano chiamato apposta, loro dicono “convocato”.
La sapete la nipote di Nicola Sindacato?
Parlava con l’amante di Nicola Sindacato, Rosita Cascettella, guardava le persiane chiuse del Dotto’ e diceva piano piano: “È figlio della colpa.
Sicuro.
Ho sentito che ascoltava… parlavano zitto zitto… con uno mai visto che però gli somigliava, e che gli diceva: tuo padre non è lui, tua madre è lei, noi siamo fratelli.
Gli ha detto proprio così, io stavo dietro la porta, noi siamo fratelli.
Quando due sono fratelli si conoscono, è vero Rosita?
Se non si conoscono è perché non si sanno.
O no?
E sono figli di puttana”.
La nipote di Nicola così ha detto, proprio così: figli di puttana.»
-«Forza, basta chiacchiere, vuttamm ‘e mane.
A una voce.
Ohhh vai.
Ohhh vai.
Ohhh issa.
Ohhh issa.
Metti uno scanno.
Vuttamme vuttamme.
Ohhh vai.»

I notturni lavoratori del fondo marino non si scandalizzarono più di tanto, quando notarono che mi ero steso a riva con scarpe e cravatta, mezzo dentro e mezzo fuori della risacca.
Le pratiche faticose della loro quotidianità non lasciavano balenare il flusso di emozioni che mi spingevano in quell’atteggiamento irrazionale e palesemente sconveniente.
Docile, m’immergevo tra i bisbigli della sabbia rotolante sulla sabbia e della spuma spruzzata sulla spuma, con la ragione offuscata dall’incontrollabile seducente rapimento di scrivere la prima poesia per Gilda.
Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda. Mentre la risacca inzuppava gli indumenti che indossavo dalla mattina, e sussurrava tra i pensieri di una passione tanto antica quanto trascurata, procurandomi la sensazione di essere avvinghiato da un doppio gelido intruso, di colpo, l’inquietante dubbio di aver osato troppo mi fece barcollare e scivolare nel mare, fino alla gola.
Volevo scrivere la mia prima poesia d’amore per Gilda, quando ormai avevo già osato troppo!
Infatti, uscendo dal bar, la lunga malinconia cui avevo costretto, da sempre, la mia passione per la rossa inquilina di tutti i miei sogni, si era procurato un varco utile a lasciarle un biglietto.
Avevo lasciato per lei un biglietto alla cassa: “Quando potrò fare una passeggiata, cenare, andare alle giostre, al mare, con te e il tuo bimbo?
Sarà bello.
Promesso.
Telefonami, 081081081.”

 

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Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO SECONDO

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO SECONDO

La sesta firma CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO

Respiravo ancora gli odori senza nomi, fluttuanti, sottili e sgargianti, che disordinatamente si erano accavallati negli squarci di porte lasciate socchiuse dal barcollante Petrus durante le ore di grande intensità emotiva da poco terminate.
La splendida serie di riconoscimenti con i quali la sera prima, il tre agosto, “La Signora” (per me amica Aurora), aveva voluto premiare la mia scoperta del gravissimo errore gestionale (che se non fosse stato corretto in tempo sarebbe risultato oltremodo nocivo alla reputazione di cui lei era fiera, nonché pericoloso per le attività connesse alle delicate funzioni dirigenziali del suo ruolo), e mi riferisco al titolo di
“GRANDE SUPER GUIDA DELLE PRATERIE TRA L’ESSERE E IL NULLA”,
alla nomina di
“CITTADINO ONORARIO CON LE CHIAVI DEL REGNO”,
alla assegnazione di
“UN BONUS, CIOÈ UN SUPPLEMENTO DI VITALITÀ”,
al dono di
“UNA BACCHETTA DA DIRETTORE D’ORCHESTRA”,
aveva impresso un sigillo determinate, non solo sul mio presente, ma anche sulla mia vita futura.
Trucidi plebei (moscoviti, marocchini, del mio quartiere, o forse di terre sconosciute), avevano profuso, nel lontano palazzo dal quale ero tornato, accordi olfattivi disarmonici rispetto ai composti insiemi di ricercate essenze vaporizzate con isterica altezzosità da nobili decaduti lì presenti.
Dico trucido, e penso al bagnino famoso per essere stato, negli anni cinquanta, la controfigura di un super eroe della cinematografia americana.
Dico nobile, e vedo tre ricchissime baronesse in un angolo appartato della pasticceria Italia, una bionda una bruna ed una di bassa statura, contendersi, per tirchieria, briciole di torta alla crema vaniglia e cioccolato.
Non solo l’olfatto impregnava la tollerante attenzione che aveva seguito guardinga i miei passi nel regno d’Aurora, ma anche tutti gli altri sensori della mia macchina corporale conservavano frammenti decisamente significativi di quelle atmosfere che potrei definire profetiche.
Donne dalla grande bocca, ed altre con capelli rosso fuoco, il servitore indecente, un principino del forellino, bambocci dai nasi moccolosi, la bella statuina, mani di fata, ectoplasmi frignanti “Lei non sa chi sono io”, bonazze umane siliconate, uomini in camici neri, figure femminili ricoperte da bianchi teli, tanti altri invocanti “Fratelli, pregate!”, il mostro in mostra, la mostra, e poi passerelle di star siliconate e parate silenziose di coppole siciliane… tutti presenti in una bagarre senza fine.
Chiamatemi l’uomo dell’eccesso, oppure, se volete, l’ultimo kamikaze della libidine mentale infinita.
Quando solleverò la bocca dal fiero pasto…
Il culo non entra nel pugno.
Il pugno non entra nel culo.
Non si sfugge alle regole di convivenza esistenti in qualsiasi aggregato formato da elementi viventi.
Formiche, uomini, o marziani, poco cambia, in quanto essi stabiliscono la liceità di particolari comportamenti, imponendoli ai membri aderenti ad ognuna delle loro formazioni associative.
Senza distinzioni.
Nonostante siano rappresentate mediante varie configurazioni, tutte le scelte d’aggregazione proteggono e tutelano i delicati meccanismi di autodifesa strutturati, nel tempo, da innumerevoli generazioni.
Nei loro quartieri i turchi, negli alveari le api, i microbi i vermi i lunatici, i senza pettegolezzi, gli automobilisti, i medici, i sorci verdi, le marpione, i narratori, i narrati, i Renato pittore barbiere, i venditori di gelati patatine sandali magliette cinesi africane indonesiane, i ridicoli ipse dixit, le tigri del Bengala, i bengalesi, i costruttori di bengala, i cacciatori di tesori, i predicatori, le amebe i sarcodini i flagellati, le religiose le odalische le sacerdotesse le soldatesse le oratrici le professoresse le leonesse le mogli, le “Io sono”, le pulci del letto del cane del gatto dell’orto del lago del porto.
Cioè.
Qualsiasi stratificazione di un insieme composto da esseri viventi gestisce se stesso con un codice di comportamento collettivo.
Ad un simile calderone di forme sensoriali passivamente recepite, si aggiungeva, con poca opportunità, una malcelata insopportabile percezione di sentirmi condizionato dall’invasione del super elettromagnetismo.
Intorno ad ogni singolo palazzo che frequentiamo, i confini fisici delle pareti, pur variamente delineati, non regolano il traffico enorme di onde emesse da strutture diffuse su gran parte del pianeta che ci ospita.
Né, tanto meno, a flussi intercontinentali di elettroni, oppure a segnali provenienti da fonti collocate in differenti galassie, è mai in alcun modo impedito l’accesso agli ambienti della nostra quotidianità; quantunque essi siano, nella stragrande maggioranza, rilevabili con immediatezza da sistemi ed apparecchiature d’intercettazione quasi elementari.
Da quanti regolamenti era saturato, in quell’attimo – ora – giorno, il mini cosmo della stanza – botte – cisterna – serbatoio inesauribile per le mie bevute di birre popolari?
Da una parte ero conscio di potere assumere i connotati di un soggetto attivo, ed utilizzare la facoltà di spedire i miei sms al tropico di tutti i cancri e capricorni quando solo lo avessi voluto, ma poi subito dopo, senza concedermi una tregua, la certezza di essere lì a ricevere serie stratosferiche di bip invisibili (non udibili – intoccabili – esistenti, ma che un attimo dopo, nell’identico luogo, sarebbero risultati assenti, pur essendo ancora presenti sotto un’altra forma), mi confondeva in maniera ossessiva.
Sbalordito dalla certa consapevolezza che i medesimi bip erano, nello stesso tempo, anche in altri luoghi!
Già queste si configuravano come situazioni di palese impotenza. Inoltre, in quelle prime ore di calma apparente, successiva al mio arrivo sull’isola, anche altri intrighi, ingorghi ed inquietanti paradossi, osarono inseguirmi, strisciando come bisce ondeggianti ed ondulanti tra ombre del vero e del falso, fino nel bunker silenzioso delle indescrivibili e mai descritte mattanze di fredde birre gialle super popolari. Erano lì a sfidarmi.
Li avevo davanti alle palpebre semichiuse per il travaglio del viaggio, pronti alla lotta ed agevolati dalla stanchezza mentale che mi aveva oppresso per la precedente notte quasi insonne.
Il divertimento di schizzarne le ipotetiche simbologie, con la fresca lacca acetonica che stava accomodando sulle mie unghie la professionista bolognese giunta a ritemprarmi con massaggi e trattamenti vari, era una forte tentazione, è vero, mi tentava.
Come puntare sul trentasei rosso al tavolo di Venezia San Remo Montecarlo Montevico Montecitorio Montecristo Montevergine.
Non sempre è possibile adagiarsi negli eccessi, abbandonarsi alle lusinghe della semplicità, non sempre dovevo fare ciò che volevo, né mai avrei voluto fare ciò che dovevo.
Scodellavo il tempo tra il rosso e il nero, il dispari e il pari di una scelta assurda tra libertà e ragione, sbattute entrambe sul tavolo, come “fiero pasto”, da parte dei padroni mentali che mi squarciavano sbudellavano seviziavano sezionavano.
La ragazza bolognese, portò un ultimo ritocco al lavoro di ripristino delle rughe che invecchiavano i miei occhi, raccolse i pochi suoi attrezzi, ci augurò buon proseguimento con un sorriso a tutta bocca, ed uscì accostando la porta delicatamente.
Geltrude, con molta discrezione, provvide a controllare la chiusura degli infissi.
Tolse la biancheria dalla lavatrice.
La stese, formando una meticolosa ragnatela multicolore, pluriforme, sgocciolante ed odorosa per i fiori e gli oli peruviani che componevano le scaglie di sapone grezzo usato nel lavaggio.
Geltrude, nata nella Sardegna isola mondo universo.
Geltrude: due gambe di venti soli centimetri, arcuate verso l’esterno delle caviglie oltre ogni soluzione proponibile dalla scienza che si occupa della deambulazione umana.
La sua odissea l’aveva voluta sbarcare un giorno senza data, sconfitta ed affranta, tra le quattro mansioni di cui necessitavano i lenti giri della mia ruota quotidiana.
Un caffè senza zucchero al mattino:
-«Buongiorno Signore»
-«Buongiorno Geltrude»
per letto un lenzuolo, un cuscino e d’inverno un piumone, tre minuti necessari ad asciugare le pozze d’acqua sul pavimento del bagno, a pranzo sempre le stesse pietanze, per mesi, fino alla nausea:
-«Domani si cambia Geltrude, domani formaggio»
e sempre formaggio, tre mesi, quattro anni, quindici settimane certamente.
Per le sue ore di libertà avevamo concordato tutti i pomeriggi liberi fino al crepuscolo; il giovedì e la domenica intera giornata.
Dopo l’imbrunire, solo i compiti di compattare un sacchetto di spazzatura, dare una lieve sistemata al disordine della mia giornata, scegliere e stendere una tovaglia pulita per la cena notturna, ed infine verificare la chiusura delle persiane.
Quella sera, al suo “Buonanotte Dottore”, improvvisamente, mi accorsi di essere rimasto solo.
Fino a quel momento assente nella mia attenzione, la sua presenza discreta divenne, in un bip, la sterile verginità che mi aveva impedito ogni sussulto verso la realizzazione d’incredibili obiettivi.
Lentamente, con frasi incomplete, iniziai a parlare da solo, a voce non alta, ma comunque incisa nel vecchio silenzio di quella particolare sera uguale a tante precedenti.
Rivolto ad un foglio, una penna, ed una bionda teoria di fredde bottiglie dal tappo a corona, non dissimili, per monotonia, dagli stessi oggetti arruffati in tanti altri crepuscoli.
La strada comunale poco distante inventava da destra e da sinistra striduli scricchiolii d’amori traditi, sirene prive di lusinghe, lacerate certezze di vita, un grano di pioggia sul selciato, gli assoli intermittenti di autoclavi e condizionatori.
Per me nessun senso di stupore, solo attenzione rivolta verso la scoperta di una solitudine mai altre volte considerata.
Avevo già accondisceso precedentemente, in più occasioni, alla tentazione onirica del giro del mio mondo in solitaria.
Non la prima, la seconda esperienza di assoluto inconsapevole isolamento l’avevo vissuta, tanto tempo fa, con la barca a remi “Ricciulì”, dal Castello Aragonese a Vivara e ritorno.
Quattordici anni non ancora compiuti, l’estate abbronzava la pelle sul corpo, il mare sembrava un lago.
Su un natante di quattro metri circa, con grezzi remi di legno incordati agli scalmi da rudimentali sfilacci di sagole.
Acquisivo ogni metro di mare, le singole porzioni di miglio marino che mi distanziavano dalla meta, silenziosamente, ascoltando l’affanno che la fatica e la fuga dall’ignoto mi espellevano dal petto.
A me ragazzo sprovvisto di precedenti simili esperienze, gli schizzi spruzzati dai remi nelle uscite dalle crespe ondose dondolanti sulla leggera corrente, quasi raffiche d’invisibili mostri nuotanti e volanti, acceleravano i battiti cardiaci nello sforzo per ulteriori faticose palate.
A me battelliere improvvisato e sprovveduto, i gorgoglii che erano provocati dai vortici lasciati nel lento, ma incessante procedere del Ricciulì, prodromi di altri disgraziati ticchettii, rubavano ogni pensiero diverso dalla frenesia della fuga.
Vidi.
La vidi.
La pinna azzurrognola fendeva il mare cento metri dietro la poppa, minacciosamente a ridosso del guscio di legno dall’antica vernice protettiva ormai solo un labile ricordo. Scricchiolava tutto il fasciame, reso fragile da continui affondi in battigie di sabbie pietrose, bruciato dal sole dal vento e dalla pioggia che si erano accaniti per anni come spietati saccheggiatori delle Molucche, e sgangherato per i ripetuti cozzi contro semi affioranti barriere di mitili.
La pinna, alta un palmo sullo scintillante fermento lasciato dalla scia della poppa del natante, rifletteva, quasi a voler attirare la mia attenzione, i raggi del sole ormai al tramonto.
Da regata avventurosa, la sfida Castello Aragonese – Vivara – Castello Aragonese, oltre la mia piacevole intenzione, era lì trasformata, per effetto di un’imprevista regia, nella fuga affannosa da una pinna sconosciuta.
Forse era un tonno.
Sapevo che a volte passavano piccoli gruppi di delfini in quel tratto marino, ma non avevo mai sentito parlare d’avvistamenti né di squali predatori od orche in miniatura, né di sperdute balene.
Forse era un tonno, eppure nessuno avrebbe potuto convincermi della sua innocuità.
Remavo, remavo ancora, remavo tanto ancora, remavo violentemente tanto ancora, remavo la sabbia freneticamente tanto ancora, remavo la sabbia della battigia forsennatamente tanto ancora, allontanandomi dalla pinna.
Il Ricciulillo, bagnino padrone della quasi omonima barca, corse verso il punto in cui stavo raggiungendo la riva, mi sollevò come un pupazzo di pezza (era forte, era scuro per la salsedine essiccata, era burbero, era animalesco), mi lanciò verso l’alto, le nuvole, il cielo, in una vertigine da girotondo spaziale (era la controfigura di un totem, di un capo indiano «i miei amici indiani», un ritratto maschile di Gauguin, un profilo di Modigliani, l’ottava battuta della prima sinfonia), fermò la mia ricaduta ad un mezzo palmo dalla rena sottile chiara bollente della spiaggia miraggio sabbioso deserto texano incastonato tra due blocchi di scogli tipo rio bravo alti tre metri (poteva farlo, era atletico, sfrontato, spaccone, era forte era agile era padrone dei suoi movimenti), e quasi urlando affinché tutti ascoltassero, disse:
-«Bravo picciri’, sai remma’ buono. T’aggia ’ mpara’ a fa’ o meglio vogatore».

Rotolavo nella sabbia, infelice e felice, guardando verso il lato di arenile opposto al mare, alla pinna, alla scia riflessa dal sole, sapendo benissimo che il Ricciulillo, il semideo marino bagnino, non l’aveva, lui, né vista né considerata.
Non vale nascondere i paradossi della quotidianità utilizzando scampoli di pseudo epocali avventure.
Sarebbe un sistema in grado di funzionare per il brevissimo periodo, ma che in definitiva lascerebbe ancora più scoperto il nervo dolente.
Quella sera, come tutte le sere, Geltrude mi augurò “Buonanotte Dottore”, così scoccando, involontariamente, la scintilla che avrebbe fatto esplodere la contraddizione della mia vita. Io mi sentii solo.
Radicalmente.
Ciò, nonostante il soffocante abbraccio della totalizzante invasione che l’elettromagnetismo d’origini ignote mi chiedeva di ricambiare.
Avrei potuto ascoltare le frequenze 120 130 140 150 160 1357…, austriache, giapponesi, eritree, sud tirolesi, saigonesi, etiopi, baranesi, del cinquantaduesimo anniversario della rivoluzione cubana, ventisei luglio 2005, oppure telefonare ai numeri di appello pubblico per frodi commerciali, richieste di informazioni dei nostri concittadini dispersi negli attentati egiziani, inglesi, afgani, iracheni, pachistani, serbi, israeliani, giordani, siriani, libici, algerini, tunisini, sud tirolesi, irlandesi, baschi, turchi, americani, genovesi, rodesiani, indonesiani, giapponesi, americani, a m e r i c a n i, a m e r i c a n i, finanche ai numeri di appello pubblico contro te, contro lui, la strada sconnessa, i predatori di tartarughe sperdute, lo sciopero selvaggio dei reduci dalla cassa integrazione, il tassista furbacchiotto, il controllore scostumato, il vigile urbano acquattato nella sala giochi del bar gelateria, le cacche sulla strada dei cani randagi, le caccone sui marciapiedi lasciate da cani liberi provvisti di medaglietta e collare, le caccacce agli ingressi di case e negozi defecate comodamente da cani al guinzaglio di signore profumate abbronzate sculettanti smorfiose sussiegose tamarre, t a m a r r e, t a m a r r e, tamarrissime.
Ero, al contrario, sedotto dal volere cercare rifugio in una paradossale autosufficienza.
Lentamente, iniziai ad entrare in una sfera d’impermeabilità, ove si ergeva sovrana l’inibizione a montare sui salvagente, infiocchettati da suadenti programmi pubblicitari e resi indispensabili nella globalizzazione dell’era elettromagnetica. Ciambelle di salvataggio adatte ad appigliarvi fittizi bisogni. Cinture protettive utili per fungere da ripari ad esigenze artatamente indotte.
Elementari manuali di sopravvivenza dei cittadini metropolitani proposti da sedicenti esperti.
Essa, l’inibizione, aveva radici in una apparentemente semplice sensazione di libertà.
Ogni volta che si tenta di superare una linea di demarcazione, c’è un elemento dalle coordinate XYZTIO (ics ipsilon zeta tau io) che si trova a cavallo, in equilibrio, tra un lato ed un altro, tra due dimensioni differenti, tra un prima ed un poi, tra l’io e il non.
In bilico su un concetto, non riuscii a decidere se l’allontanarsi di Geltrude aveva insinuato in me la necessità di una compagnia, oppure se, al suo lasciare la stanza, non mi ero sentito avvampato per il sospetto che, vuoto, era tutto quanto mi contornava.
Specchio specchio delle mie brame chi è il più solo del reame?
Poco alla volta, con gli zoccoli duri di un elefante, un’ambizione inqualificabile avanzò sui ciottoli delle mie abitudini per nulla tranquille.
Perché, poche ore prima, giunto sul molo della mia isola avevo seguito la viuzza acciottolata che attraversando la pineta passava davanti al bar di Gilda?
Così, distrattamente?
E perché senza aver intenzione di bere o di trascorrere qualche minuto in compagnia, mi ero avvicinato al banco mescita?
Senza motivo?
Come un automa telecomandato?
Per una simile ragione avevo preso posto su uno degli sgabelli di plastica rossa con struttura in acciaio satinato?
La successiva breve conversazione era stata o non era stata responsabile, almeno in parte, della confusione mentale che stavo invano tentando di addestrare?
Nella logica adatta ai rapporti tra un domatore ed il suo leone, la mia ossessiva ambizione di libertà era o non era la forza che stava intendendo imporre, alla ribelle bestialità della mia natura, un insensato salto da eseguire passando attraverso la strozzatura del cerchio infuocato di un assurdo autocontrollo? Quelle brevi frasi responsabili di tanto trambusto?
Mi aveva chiesto:
-«La solita?»
-«Sì grazie.»
-«Gianni, dai una birra ghiacciata al dottor Bruno.»
-«Non sono dottore.
Quante volte devo dirtelo?»
-«Dotto’, per me voi siete tutto: dottore, farmacista, avvocato, medico, pure onorevole…»
-«Se mi chiami onorevole cambio bar.»
-«Ma che è stasera, nun se po’ pazzia nu poco?
È il quattro agosto e state nervoso per la gente che allucca a tutte le ore per la strada e non vi fa pensare?
Non potete scrivere?
State arrabbiato?
Ecco la birra gelata.
Non ci pensate, i guai sono il contrario delle femmine.
È vero che tutti e due vanno e vengono, però le femmine se le pensate assai se ne fuggono, i guai invece più li credete importanti più aumentano.
Ve li scordate, e i guai passano; ve le dimenticate, le femmine tornano.
Fate come me, con tutto il rispetto dotto’, io non li penso e non le penso proprio, né di giorno né di notte.»
-«Stai parlando delle femmine o dei maschi?»
-«Tutti la stessa razza, uguali, i maschi e le femmine, fuggono uguali se li accarezzate.
Dotto’, accussì si sta troppo buono!»
-«Sei pazza!
Pazza sconclusionata.
Potresti avere eserciti di uomini, alti biondi bruni ricchi belli giovani…»
-«Sì Dotto’ questa canzone me l’hanno già cantata mille volte. Voglio sta’ sola!
Nun voglio a nisciuno.
Un bastardo è bastato.
Prima mi faceva piangere e poi mi asciugava il naso, prima mi faceva ridere e poi mi sputava in faccia, “Ti amo.” diceva “Sei tutto per me.”, e si prendeva veramente tutto: amore e soldi.
E nemmeno questo è bastato!
Bastardo.
La pollanchella gli disse “vieni” e lui venne, la pollastrella gli disse “andiamo” e lui andò.
Né più tornò.
Vigliacco bastardo.
Dotto’ un’altra volta… sapete, non mi chiamo Speranza né mi chiamo Vendetta, ma il mio nome è Certezza.»
-«Io so che ti chiamano Gilda e so pure che non c’è tana senza ingresso.
Posso avere una birra?»
-«Gianni, la birra più fredda per il dottor Galante.
Vi chiamate Galante?
Porfirio Galante?
Valentino Galante?
Galante Rubirosa?
Rodolfo Valentino?
Porfirio Rubirosa?
Rodolfo Galante Porfirio Rubirosa Valentino?»
-«Chiamami Bruno, sarò la tua vita.»
-«Ma questa è la reclame di una birra. ‘Mbroglione.
Ci avevo quasi creduto!
Ecco la birra, bionda fredda trasparente e senza bollicine.
Mi rassomiglia.
Dotto’ io sono una birra che non potete bere in un sorso solo.»

Non è facile per uno scrittore innamorarsi.

In primo luogo perché il narcisismo, implicito in tutti ed in ciascuno, e certamente estremizzato nel letterato impegnato per propria scelta a costruire illusorie sagome di umanità. Addobbato con semplici strumenti impietosi di un Deo creatore (un foglio di carta ed una penna), egli non ne è immune.
Paola e Francesco, ovvero Paolo e Francesca, non furono creati per un disperato accattonaggio di malinconica auto stima. Non siamo tanto ingenui.
Poi, con retorica, potrei anche domandarmi quale possibilità di innamorarsi abbiano i drammaturghi che sbriciolano pensieri inesistenti.
Non tutte le sedie hanno anime di legno e collanti vinilici, né sempre sono state utilizzate in funzione di un appoggio per il culo. ove, comunque, lo scrittore mostra evidente l’impotenza a perdersi dietro un grande amore, è nella sua scelta di infiorettare, con costrutti lessicali, concetti disinvoltamente abbandonati da persone comuni durante pubblici colloqui metropolitani.
Io, invece, mi ero innamorato.
Scrittore innamorato.
Non mi riferisco all’amore per un altro essere vivente (uomo, donna, animale, incognito), poiché di simili nostri pasticci sono già sufficientemente pieni i rotocalchi.
Dicevo, avrei voluto dire, avrei voluto dire con un linguaggio equivocante, voglio dire, che gli scrittori difficilmente provano passione per una frase non costruita nella loro officina letteraria.
Ebbene, proprio così, sì, io, imbalsamatore di parole, credei di essermi innamorato di una frase.
“Io sono una birra che non potete bere in un sorso solo.”
Tale sarà per te, temerario lettore, questo mio racconto.

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

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Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

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La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

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CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

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Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]

 

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO PRIMO

Per Aurora – volume terzo – La sesta firma CAPITOLO PRIMO

La sesta firma CAPITOLO PRIMO

La sesta firma
un racconto

CAPITOLO PRIMO

«Quand’ero piccolo andavo in bicicletta e non sapevo andarci.
I pedalini mi scivolavano e cascavo.
E qualcuno mi raccattava.»
Ora sono grande vado in bicicletta e so andarci.
Le ruote veloci slittano e casco.
E non voglio essere raccattato.

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ISBN 9781471074813


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Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
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Sottotitolo
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Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

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Per Aurora – volume terzo – Only you 2

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Per Aurora – volume terzo – Only you 2

Only you 2

Sbarcato nella melma appiccicosa
– minuta sotto
grassetto sopra -,
il rude tocco del mio pennuto aggeggio
– affusolata punta
sboccante impulso -,
sbatacchia maculati testicoli
ancora tronfi
di procurati orgasmi.

—°°°—°°—

Sbalzando da scanni e mausolei
– bari di scienze
inquisitori neri -,
confuse fra dilemmi
– teorica arte concreto sesso -,
le sfere schizzate strofinano peletti
sull’indecente reticolo
di fraudolenti ossessioni.

—°°°—°°°

Sbattuti nella parola merda
– gli occhi
i fiati -,
ancora più lontana dai miei sogni
– paure adulte
certezze affumicate -,
sboccata sarà la mia poesia del cazzo:
“Only you
only you”.

—°°°—°°°

Sfatate oniriche memorie
– l’autunno è pronto
tra buriane d’agosto -,
strusciando sul petalo il pistillo
– mai più
mai prima –,
sparuti segni
decorerò sul tuo profilo
con lacche di gerani selvatici.

FINE

 

TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Dedica – Brevi commenti amichevoli

Only you

Only you

Così o come

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Così o come

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

Parte Terza

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO FINALE

Only you 2

Only you 2

La sesta firma

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO QUARTO

CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

CAPITOLO FINALE

Poesia sporca

Poesia sporca

Per Aurora – volume terzo – TESTO COMPLETO IN LETTURA LIBERA

Per Aurora – volume terzo di Bruno Mancini

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Per Aurora – volume terzo – Vetrina LULU

Per Aurora volume terzo di Bruno Mancini

seconda edizione

ID 29y6wr

ISBN 9781471074813


Bruno Mancini
ISBN 978-1-4710-7481-3
Versione 2 | ID 29y6wr
Creato: 26 ago 2022
Modificato: 27 ago 2022
Libro, 135 Pagine
Libro stampato: A5 (148 x 210 mm), Standard Bianco e nero, 60# Bianco, Libro a copertina morbida, Lucido Copertina
Prezzo di vendita: EUR 14.00

Informazioni sul copyright
Revisiona le informazioni sul copyright
Titolo
PER AURORA volume terzo
Sottotitolo
Alla ricerca di belle storie d’amore
Collaboratori
Bruno Mancini
ISBN
978-1-4710-7481-3
Marchio editoriale
Lulu.com
Edizione
Edizione arricchita
Dichiarazione dettagliata di edizione ( / 255)

Licenza
Tutti i diritti riservati – Licenza di copyright standard
Titolare del copyright
Bruno Mancini
Anno del copyright
2022


Descrizione
Alla telefonata di Gilda seguì lo sferragliante rumore del chiavistello divenuto rugginoso per essere rimasto a lungo inutilizzato.
Geltrude, entrando con la cautela e la discrezione di chi non deve disturbare:
-«Dotto’ già sveglio?
Come mai?
State bene?»
-«Sì. Tutto a posto.
Tu sei mai stata sola?»
-«Dotto’ per stare soli, bisogna essere soli.
Io non sono mai stata niente, figuriamoci se mi potevo permettere il lusso di essere sola.
Stare sola?
La solitudine!
Voi ve la potete permettere.
Io no.»

Tabella dei contenuti
Per Bruno Mancini: brevi commenti amichevoli.

“Percorso di memoria o ricerca di spazi temporali virtuali?”
“Il continuo intersecarsi di livelli di identità con ipotesi e incarnazioni simboliche…”
“…sembrano accarezzare un sogno lontano, una speranza che non sarà mai certezza, un miraggio di felicità che si perde oltre l’orizzonte illusorio di fragili esistenze.”
“…a volte lirismo crepuscolare, intriso di soffusa malinconia, di struggente tristezza.”
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“… seria preparazione, corredata da rimarchevole fantasia.”
“… lavoro meditato, armonioso di buon afflato poetico.”
“… sincero, elegante, sempre aderente al soggettivismo letterario del particolare momento che attraversiamo.”
“Non racconto né romanzo, più che risolverli lascia aperti molti quesiti anche sul piano puramente tecnico linguistico.”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Le aperture liriche, più che segnare il passo dell’emozionalità, offrono un ulteriore invito a perdersi nei labirinti della parola scritta…”
“Quasi poesia cruda, percuote e carezza, giovane e antica…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
“Troverete un urlo e un soffio di amore, un vuoto, immersi nella forza e nella malinconia di chi comprende che…”

Per Aurora volume terzo

seconda edizione

Info: Bruno Mancini
Cell. 3914830355 tutti i giorni dalle 14 alle 23
[email protected]